Garbo e garbato, l’aceto di moscato di Mauro Meneghetti e Simona Pahontu è pronto ad impreziosire la ristorazione che conta

La natura mistica e bucolica dei Colli Euganei da qualche mese è un po’ più acre. L’aceto Pahontu, risultato della prima acetaia euganea, è entrato in produzione poco tempo fa in quel di Baone (Pd) dove le botti sono ospitate all’interno dell’Azienda Agricola Le Volpi. Grazie all’impegno e alla dedizione dei coniugi Mauro Meneghetti, sommelier e restaurant manager della storica famiglia della ristorazione Alajmo, e Simona Pahontu, giornalista, addetta stampa e alle pr e organizzatrice di eventi, è nato e da qualche mese viene distribuito questo aceto di vino ottenuto da uve moscato bianco e giallo tipiche dei colli euganei. “Un aceto – sostengono – che nasce da materie prime di qualità per riscoprire un ingrediente in grado di impreziosire con note fresche e aromatiche i piatti della migliore ristorazione sia tradizionale che d’avanguardia. Il nostro metodo di produzione è quello che definiamo primitivo ottenuto da una lentissima acetificazione statica superficiale che a differenza di altri possibili procedimenti prevede la sosta in barrique almeno un anno, a temperatura ambiente (per non perdere con calore eccessivo le componenti volatili) e l’assenza di diluizione con acqua. Ma soprattutto utilizziamo vini biologici e biodinamici non addizionati di solfiti che potrebbero inibire una corretta fermentazione”.
La storia è nota: l’uva diventa vino e il vino diventa aceto. Ma non è così scontato e consequenziale. “Non è stato semplice all’inizio incontrare la disponibilità dei produttori di vino che non vedevano di buon occhio la trasformazione di vino buono in aceto, pur piacevole e di qualità. Già trovare i primi venti litri per partire con le sperimentazioni è stato laborioso. Poi col tempo siamo arrivati lo scorso anno ad ottenere 800 litri e quest’anno abbiamo 1200 litri di vino già in cantina. Ma avremmo offerte per altre migliaia di litri”. La degustazione in cantina offerta agli ospiti è didattica ed essenziale con un assaggio che verte su tre tipologie di aceto: il primo in fermentazione da poco; il seconda da mesi ma con la fermentazione non ancora completata; il terzo che è già in bottiglia. Raccontano colori, profumi e sensazioni organolettiche in evoluzione. Dal più chiaro al più ambrato, dal meno acido al più acido, dal meno aromatico al più aromatico, intenso al naso e sapido e persistente in bocca. “La cosa che vogliamo sottolineare e che non si forma nelle botti la classica madre, membrana che avvolge il prodotto e tende a dar vita a sentori sgradevoli, ma una leggera velatura che consente comunque al prodotto di respirare”. Le prove continuano e al momento hanno visto aggiungere al vino moscato, un vino ottenuto da glera e uno da pinot nero vinificato in rosa sur lie. “E comunque – sottolineano – vinificando un vino buono si mantengono i profumi di partenza del vino. L’aceto lavora ed evolve d’estate e riposa d’inverno. Parliamo di barrique già utilizzate quanto basta per non rilasciare tannino e sentori burrosi e vanigliati ma che garantiscono la necessaria micro-ossigenazione. Il grado alcolico viene svolto quasi completamente in grado acetico che nel nostro grado ragginge il 10% circa”. La cena didattica sull’utilizzo dell’aceto come ingrediente si è svolta nella splendida cornice de “La Mugletta” a Teolo (Pd), un moderno B&B, caldo e accogliente, situato quasi sulla cima del monte rosso.






Gli abbinamenti proposti con i piatti vegetariani di Chef Paolo Giraldo del ristorante Corte Verde Chiara di Correzzola (Pd) degustati nella splendida cornice del B&B La Mugletta di Teolo (Pd). Euganei e di spessore i vini: Brut Nature 2010 di Monte Fasolo, Moscatop Secco “A Cengia” 2017 di Zanovello e “Trachite Bianca” 2019 dell’azienda “Alla Costiera” di Filippo Gamba. Tutti hanno accompagnato adeguatamente la verve di Giraldo e della sua brigata di cucina che ha proposto piatti sfiziosi, colorati, gustosi e consistenti oltre ogni aspettativa e impreziositi da un aceto che cerca spazio nella ristorazione che conta. Partiti con burro e “caviale” di aceto, carpaccio di anguria e polpette di lenticchie con maionese all’aceto e cipolla agrodolce, si è passati al gazpacho di datterino con ricotta di bufala e verdure marinate, millefoglie di pesca e pomodoro con “ricotta” di mandorla e sorbetto alla cipolla, tortelli ripieni di crema di fagioli affumicati con salsa di gran kinara e bieta, scorzanera con crema di patate all’aceto, sommaco e spinacino, per chiudere con sorbetto all’aceto con spuma di cioccolato bianco, biscotto alla camomilla e lampone.









