Giuliano, Adriana, Rebecca e Medea Valent hanno raccontato l’azienda, sessant’anni di vendemmie e un lison docg, il loro 150, che migliora col tempo. La verticale organizzata ieri con Ais Veneto ha mostrato le grandi capacità evolutive di un vino che un tempo potevamo chiamare Tocai.
Dio li fa e poi li accoppi. Giuliano e Adriana Valent titolari con le figlie Rebecca e Medea dell’azienda vitivinicola Borgo Stajnbech di Pramaggiore (Ve) sono complementari come la vite e il terreno. E vivono con la stessa, piena sintonia la vita di coppia, familiare e i destini dell’azienda. Lo si capisce dal loro vino che lascia sempre la sensazione di essere stato rispettato, accudito e accompagnato come un membro della famiglia.



Se un carattere distintivo deve essere citato su tutti come caratteristica dei suoi vini, a Giuliano piace citare la pulizia. Non solo e non tanto come igiene di per se fondamentale in tutti i processi produttivi dalla vigna al calice, ma attenzione costante con travasi al momento giusto e soprattutto pulizia al naso e al palato. Profumi e sapori netti, armonici, peculiari della varietà e del terroir. Le cinquantaquattro vendemmie di Giuliano, che di anni ne ha da poco sessantasei, sono un bagaglio di esperienza enorme, in buona parte dedicato alla ricerca e alla valorizzazione dei vitigni autoctoni. Tra questi il Lison (per capirci il Tocai che non possiamo più chiamare così), tra tutti. Il suo 150 Lison Docg, così chiamato a suo tempo in onore dei 150 anni dall’unità d’Italia, è un vino pluridecorato da guide italiane e internazionali. E la degustazione verticale apprezzata ieri dal 2011 al 2020, con una felicissima incursione di un 2010 e un 2005 (quando il lison ancora non era docg), sotto l’occhio attento dei sommelier Gianpaolo Breda e Lorena Ceolin che con AIS Veneto hanno promosso e condotto l’evento, ha fatto capire il perché.

Equilibrio, finezza al naso e al palato, pulizia e schiettezza di profumi e sapori e una capacità evolutiva e di invecchiamento del vino a tratti insospettabile. Dal più giovane al più datato le note inizialmente tenui, fresche, floreali di fiori bianchi e di erbe aromatiche (timo limone) di frutta a polpa bianca e leggermente agrumate sono via via cresciute di complessità così come il colore che da un giallo verdolino è virato verso un dorato carico ma sempre vivace e luminoso. La lunghezza in bocca è aumentata così come il sentore di mandorla, caratteristica di questo vino e la complessità che verso le annate 2016 e 2015 è diventata speziata (pepe bianco, senzero), in parte affumicata e la frutta è diventata matura, quasi sciroppata, tropicale in parte. Dal 2015 sono emersi profumi di salamoia, di fiori gialli appassiti, di noce moscata. E dal 2014 (che ricordiamo come un’annata piuttosto complessa) si sono aggiunte note di spezia dolce, tostate, di frutta secca, mielose, di dattero e di carruba fino alla resina quasi ad assomigliare nel 2012 ad uno Sherry Fino. Sapidità e acidità sempre adeguate. Mi porto a casa una visione diversa di un vino di qualità con possibilità insospettabili e in parte ancora da esplorare.


