A Noale il merlot la fa da protagonista: quartese e decima le sue declinazioni
L’idea che a Noale si possa vinificare un rosso pregevole, di respiro nazionale, potrebbe suonare azzardata se non bizzarra. Vitigno autoctono? Neanche per sogno! Un merlot, come non ce ne fosse già abbastanza. Non siamo in collina, non siamo subito ai piedi della collina e siamo in provincia di Venezia. Più che un enologo verrebbe da chiedersi se potrebbe servire un alchimista. Eppure Lino Tosatto dell’azienda agricola Cà Olivassi con il suo Quartese (merlot in purezza) e la sua Decima (merlot e quartese) è la prova di quanto sia sindacabile a volte il dogma delle zone vocate (“fuori da queste neanche l’edera attecchisce” dicono i più) se la cura e l’attenzione in vigna e in cantina sono maniacali. Ed è la dimostrazione che anche a Noale, con la giusta dedizione, è possibile produrre un gran vino. Ma ci vuole un contadino, come ama definirsi nonostante la laurea in Scienze Politiche, non un professore e neanche un poeta, con tutto il rispetto per professori e poeti. Un visionario umile e determinato a non fermarsi davanti agli stereotipi del qui si e li no; a non farsi dettare la linea soltanto dai manuali.
L’azienda agricola esiste e lavora dai primi del novecento grazie alle fatiche del nonno e del padre di Lino. Una tipica gestione familiare che oltre alla sussistenza ha sempre coltivato e allevato per vendere ortaggi, cereali, carne e insaccati, uova e latte nel territorio limitrofo. Il vino? Un alimento per consumo domestico. Merlot anche allora, “non esattamente – ricorda Lino – di pregevole fattura. Eppure i terreni sono gli stessi e nei tre ettari di superficie vitata complessiva che ad oggi lavoro le vigne più vecchie hanno qualche decennio”. Cosa è cambiato? “Da appassionato di vino e di vigne e da gran viaggiatore mi sono convinto che sotto il profilo geografico fossimo in un’area vocata alla viticoltura: alla giusta latitudine, storicamente attraversata da fiumi e acque superficiali che hanno segnato le campagne. Una zona adatta da un punto di vista geologico e della composizione dei terreni come poi le analisi ci hanno confermato. Nel corso dei secoli il territorio della gronda lagunare veneziana ha subìto trasformazioni significative dal punto di vista idrogeologico. Il letto del fiume Dragonziolo negli anni ’60 ha cambiato il suo corso lasciando un terreno fertile e particolarmente ricco di elementi nutritivi che ne fanno luogo ideale per la cultura della vite”. E allora come tirarne fuori un vino di qualità da tutto questo? Come dare corso alla sua idea di vino? “Lavorando bene in vigna con tanto di sovescio e concimazione naturale con letame di bovine da latte, per ricavarne uve di qualità. Ed estrema pulizia nelle pratiche di cantina”. Perché per Lino è semplice: se lavori bene in vigna e porti a vendemmia uva sana e matura intervenendo di potatura verde, di selezione grappolo per grappolo scartando quanto basta, il vino buono è solo una conseguenza. “Prima mio nonno Alessio (un ragazzo del ’99), poi mio padre Domenico detto “Ménei Olivasso”, mi hanno ispirato i “saperi” dell’agricoltura: il saper essere in sintonia con la natura; l’utilizzo saggio delle risorse; il rispetto dei cicli vitali; il rispetto della vita. Saperi che per secoli hanno guidato la vita nei campi ed hanno consentito a una moltitudine di contadini e agricoltori di operare in equilibrio con l’ambiente senza danneggiarlo, anzi contribuendo a plasmare e ad abbellire il paesaggio agrario. Non vedo perché nell’allevamento della vite e nella vinificazione si debba avere un atteggiamento diverso. Non lo capisco neanche per gli industriali del vino. E’ un caposaldo che condivido con mia moglie Stefania e certamente un insegnamento che proverò a trasmettere ai mie figli ancora piccoli”.

Dopo la vendemmia si procede con l’appassimento delle uve in fruttaia poggiando i grappoli nei plateau per evitare la sovrapposizione degli acini. Una fase che si protrae per un periodo variabile dagli 45 ai 60 giorni. “L’appassimento dell’uva – sottolinea Lino – comporta un graduale aumento del contenuto zuccherino, una concentrazione ed un aumento delle sostanze coloranti (antociani) e dei composti fenolici. Queste concentrazioni, oltre ad aumentare la gradazione alcolica, conferiscono più struttura e corpo ed una colorazione più profonda rispetto ad un vino normale”.
Si passa alla pigiatura e si lascia fermentare il mosto in tini aperti di castagno esclusivamente con l’azione di lieviti indigeni. “Ne ho in abbondanza e concorrono ad arricchire e rendere caratteristico il corredo aromatico del vino”. Pressatura soffice e una volta pronto avviene il travaso del vino in botti di rovere da 5 hl dove matura per almeno 18 – 24 mesi. Da qui l’immissione in bottiglia e l’affinamento per almeno sei mesi prima dell’immissione sul mercato. Nessuna filtrazione forzata. Parliamo di vini robusti, dal tenore alcolico importante (14/14.5%), con profumi che spaziano dalla frutta a bacca rossa alle more, liquirizia, spezie come la cannella, il chiodo di garofano, fino al cioccolato e al tabacco dolce. In bocca il sorso è pieno e appagante, equilibrato tra morbidezza, amabilità, freschezza e tannicità levigata che rendono la beva piacevole. Si abbina a carni rosse importanti, selvaggina, preparazioni stufate e in umido, formaggi stagionati. Ma vi posso assicurare che anche da solo, quasi da meditazione, raggiunge i livelli eccelsi dei migliori passiti secchi. Perché quartese e decima? “Perché erano oneri reali corrispondenti – nel caso del quartese – alla quarantesima parte dei frutti raccolti – evidenzia Lino – che a sua volta deriva dalla divisione (9° secolo) delle decime domenicali vescovili in quattro parti: una per il vescovo, una per i poveri, una per la manutenzione della chiesa e una per il sostentamento del clero. E’ un mondo che sembra lontano ma è stato parte importante della storia contadina e cattolica del Veneto”. E se lo dice Lino, democristiano mai pentito e amministratore per anni del comune di Noale, possiamo credergli. Anche perché “ebbi occasione di far assaggiare ad un alto prelato della curia vescovile di Treviso un vino prodotto in azienda.E questi appena assaggiato esclamo: “Senti che bon! Questo el xe proprio un vin da messa!”
Da quest’anno, per completare la proposta, Cà Olivassi uscirà con un reasling. “Si tratta – precisa – di un vitigno che già esisteva ed esiste tuttora nella nostra tenuta in piccolissima quantità e dalle quali viti abbiamo selezionato i tralci migliori per produrre nuove barbatelle che già sono state messe a dimora”.