Una virata all’insegna del coraggio quella dei due fratelli dell’azienda padovana “Il Dosso”. Dopo la crisi del bovino da carne del 2001 la decisione di puntare sull’oca. Oggi sono 3.000 i capi di razza Romagnola allevati e lavorati in un anno, la carne venduta nello spaccio o alla ristorazione regionale. Prodotto di nicchia e presidio Slow Food l’oca in onto
La storia di Michele Littamé e della sua famiglia è profondamente bucolica, lontana nel tempo e piena di aneddoti. Densa come la nebbia che spesso avvolge queste zone, a Sant’Urbano, nella Bassa padovana estrema, quasi Polesine. Siamo a cavallo del 1948 quando nonno Attilio inizia da fittavolo ad allevare bovini da carne e a coltivare le campagne in gestione a seminativo (mais, barbabietola, ecc…) presso l’azienda “Il Dosso”. Gli subentra Ugolino, uno dei tre figli che nel tempo diventa proprietario. E da Ugolino il timone passa a Michele e a Luca e con loro arriviamo ai giorni nostri. «Mio padre è mancato nel 1995 — ricorda Michele — e noi, pur lavorando già da tempo in azienda, eravamo molto giovani. Le idee non sono mai mancate ma la nostra cultura, la nostra educazione, è sempre stata improntata alla cautela, alla ponderatezza. E quindi avanti con bovini da carne e seminativo».
Avanti fino al 2001, anno della seconda crisi del bovino da carne. «Lì abbiamo capito che dovevamo per forza diversificare la produzione e per fortuna la saggezza di mia madre Bruna ci ha illuminato. Allevate oche, ci disse, le cui carni sono “da signori” e non si trovano nei supermercati».
Un condensato di saggezza popolare: l’oca la allevano in pochissimi e il prezzo medio è certamente impegnativo. «Storicamente — ricorda Michele — era la carne dei signori perché i proprietari terrieri, spesso di estrazione ebraica, che si allontanavano dal centro città patavino e acquistavano campagne, pretendevano dagli affittuari, tra le cosiddette onoranze declinate nei contratti di conduzione (e ce ne mostra uno addirittura di fine Ottocento), una congrua fornitura di carne d’oca. Se a questo poi aggiungiamo che l’allevamento ed il consumo dell’oca era molto diffuso anche nella sua specialità “in onto” — cioè cotta e conservata nel suo grasso disciolto —, considerato che fino agli anni Sessanta del Novecento in pochi avevano il frigorifero, che la macelleria più vicina si trovava ad Este (PD) e quindi era un metodo comodo e prezioso di conservazione della carne, si capisce l’attenzione da sempre riservata all’allevamento e al consumo di oca».
Le premesse ci sono, il coraggio pure, si parte. Dal 2001 al 2006 è tutto un susseguirsi di corsi, di studi, per perfezionare il sistema di allevamento, anche “latte e miele”, ma soprattutto per arrivare ad un listino di prodotti cotti, a basse temperature, da vendere al minuto o sottovuoto e pronti al consumo su cui costruire il futuro dell’allevamento. «L’azienda si estende per 37 ettari, molti, da sempre, a seminativo, per sostenere l’allevamento di bovini che ancora oggi abbiamo (sono soci Unicarve) per 250 capi circa di Limousine all’anno. Ma sicuramente l’allevamento di bovini per noi sarà sempre più residuale. Non c’è redditività e per questo chiuderemo. Ci interessa invece crescere nell’oca e lo faremo».
Al momento, nell’azienda Littamé si allevano e lavorano 3.000 oche Romagnole all’anno circa. La produzione viene venduta completamente nello spaccio al minuto o alla ristorazione regionale, oltre che nelle molte fiere e manifestazioni enogastronomiche alle quali partecipano. E sono organizzati anche per la spedizione di prodotti sottovuoto. «Non abbiamo mai pensato di proporci alla Distribuzione Organizzata perché tutto quanto produciamo è già di fatto destinato. Magari un giorno, crescendo, ci penseremo. Quello che certamente non faremo è l’incubatore dove far nascere gli animali. Costi e organizzazione richiesti sono improponibili. Per questo, per la fornitura dei capi, ci serviamo da un’azienda di Ravenna in grado di fornire migliaia di oche Romagnole a settimana. Le Romagnole sono tra le più feconde e ovaiole tra le oche (110/115 uova l’anno, dal peso minimo di 150 grammi). E, inoltre, il suo piumino è tra i più apprezzati».
Il sistema di allevamento è semibrado perché l’oca da ingrasso ha bisogno di pascolamento. La superficie destinata al pascolo delle oche è suddivisa in lotti che permettono la rotazione e la ricrescita del pascolo (la superficie minima dei quali può essere 10 m2 per capo). La lettiera è di paglia e i ricoveri devono avere il pavimento tutto pieno.
Nel ricovero notturno sono fondamentali acqua corrente a disposizione, luce, per la tranquillità dell’animale e contro i selvatici, integrazione alimentare. «Per l’alimentazione — conclude Michele — prepariamo miscele di materie prime alle quali aggiungiamo produzioni nostre aziendali (mais, orzo, ecc…) e scarto di lavorazione vegetale del territorio (cocomeri, meloni, lattughe, pomodori, frutta, ecc…). Nella parte finale di ingrasso, oltre ad una percentuale di latte e miele, alimentiamo gli animali anche con nostre farine».
I preparati a base d’oca spaziano da freschi a lavorati, dalla coscia al macinato passando per salame, prosciutto, salsicce, collo d’oca ripieno, oca farcita, duroni “in onto”, paté di fegato, ciccioli, ecc… Ma il prodotto di nicchia, di riferimento e per questo presidio Slow Food, resta l’oca in onto: per la conservazione in onto (detta anche oca in pignatto), le oche sono separate dalle loro parti grasse e tagliate a pezzetti. Le carni riposano sotto sale per alcuni giorni oppure sono cotte con erbe, aromi e un poco di vino rosso e, successivamente, si ripongono direttamente in un orcio di terracotta o vetro. Nella versione cruda si alternano pezzetti di carne a grasso d’oca fuso e foglie d’alloro; nella versione cotta invece si completa l’ultimo strato con il grasso fuso e si chiude il vaso. «È ottima — consiglia Michele — con la salsa di cren, con le patate o la peperonata e, in ogni caso, con la polenta, accompagnata ad un buon vino rosso veneto».
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Az. Agricola Luca e Michele Littamé
Via Dosso 2 – 35040 Sant’Urbano (PD)
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Web: www.michelelittame.it