Tra le grave e le campagne pietrose che circondano Tezze di Vazzola nel trevigiano, non molto distante da Conegliano (Tv), alcune imprese storiche ne hanno fatto il tratto distintivo dell’azienda e della proposta vinicola nel suo complesso. Tra queste le realtà di Giorgio Cecchetto e di Antonio Bonotto dei “Bonotto delle Tezze” che ho visitato pochi giorni fa.
Pochi vitigni tra gli autoctoni vantano radici così profonde e diffuse nel tessuto sociale ed economico del territorio di riferimento quanto il Raboso in Veneto. Attorno al Piave, fiume sacro alla Patria, teatro di battaglie violente e sanguinose che hanno segnato nella prima guerra mondiale i destini dell’Italia, il raboso ha trovato estimatori e custodi di un’uva coriacea e di un vino indomabile, austero come pochi. Tra le grave e le campagne pietrose che circondano Tezze di Vazzola nel trevigiano, non molto distante da Conegliano (Tv), alcune imprese storiche ne hanno fatto il tratto distintivo dell’azienda e della proposta vinicola nel suo complesso. Tra queste le realtà di Giorgio Cecchetto e di Antonio Bonotto dei “Bonotto delle Tezze” che ho visitato pochi giorni fa. Impensabile per loro non dare continuità e prospettiva ad un vino secolare che vanta natali lontani e documentati nel tempo. Originale e singolare fin dal sistema di allevamento, si ricorda come vite maritata agli alberi di gelso, diffusi in zona anche per la pratica della bachicoltura da seta, e come impianto alla “Bellussera”. Pratiche di campo superate in buona parte se non per qualche piccola porzione ancora esistente che ha più una valenza storica, archivistica che altro. Il raboso è un vino che si aspetta come l’uva, che giunge a maturazione ad autunno inoltrato. Per smussarne le asperità tra botte e bottiglia, le durezze tipiche e caratteristiche di questo vino dotato di corpo e struttura impegnativa anche negli abbinamenti col cibo, si aspettano anni. E’ un vitigno versatile, anche nella sua veste di raboso veronese tipico del padovano dove viene chiamato friularo, che si presta non solo alla vinificazione classica in rosso, ma pure data l’acidità importante, alla spumantizzazione metodo classico, pure rosato, che arriva a riposare in bottiglia anche dieci anni e oltre. Rivendicato come Doc Piave, esiste da una decina d’anni una docg dedicata, piccola, che si chiama “Malanotte del Piave” storico borgo di queste zone. Un vino importante, vinificato con una percentuale del 30% di uve lasciate in appassimento per mesi e il risultato del blend è un vino profumato, di rara complessità e struttura, con alcolicità importante (15%).
Cecchetto. Giorgio Cecchetto è uno dei templari del raboso. Ricorda sempre come la riscoperta di questo vitigno lo vide proporre il passito nei primi anni novanta. Poi è arrivato il Raboso classico e il Malanotte DOCG la cui registrazione definitiva risale al 2011. Un’azienda che somma 120 ettari circa dei quali 11 a raboso e poi carmenere ed altre a bacca rossa che coprono il 45% della superfice vitata. Il resto a bacca bianca soprattutto glera e pinot grigio senza dimenticare l’incrocio manzoni. “Ci sembra giusto fare del raboso uno dei nostri tratti distintivi – sottolinea Giorgio Cecchetto – perché ha una storia plurisecolare dimostrata e riconosciuta e molto identitaria col nostro territorio. Nel 1998 c’erano solo due cloni e il lavoro fatto tra gli altri con i vivai di Rauscedo ne ha accresciute le disponibilità. Tra le nostre viti ne abbiamo di sessant’anni e sono quelle che danno il frutto migliore grazie ad un apparato radicale sviluppato che va in profondità, che estrae tutto quanto serve e si regola senza difficoltà”. Col figlio Marco abbiamo stappato un Incrocio Manzoni 2014 profumato al naso quanto sapido e minerale in bocca, a dispetto di un’annata ritenuta difficoltosa. A seguire il “Rosa Bruna” 2012, metodo classico rosato da uve raboso, fresco e versatile in bocca con un ventaglio aromatico che spazia dal frutto all’erbaceo senza tralasciare una buona mineralità e una freschezza importante. E infine i rabosi di casa dal DOC Piave 2018, vino di carattere, ancora giovane ma interessante con le sue note fruttate di mora e frutti di bosco, con i profumi di gelsomino che lo caratterizzano, fino al Raboso 100% con 30% di uve passite (rivendicato IGT) 2017 decisamente consistente e corposo, concentrato, con note di confettura, spezie e pure tabacco giovane.
Bonotto delle Tezze. I Bonotto delle Tezze contano 15 ettari a Raboso su una superficie vitata di 50. I Bonotto hanno una storia lunga e sempre legata alla terra fin dal 1420. Si ritengono sperimentatori ma al pari di altri colleghi amano raccontarsi col raboso. A bacca rossa hanno pure carmenere, merlot, cabernet sauvignon e bacca bianca glera, pinot grigio e l’immancabile incrocio manzoni. Ci hanno raccontato e mostrato immagini degli antenati e raccontato storie raccolte in parte nel libro di Edoardo Pittalis “Rosso Piave” che hanno avuto occasione di regalare quattro anni fa con una magnum selezionata al Presidente del Senato. Antonio Bonotto e la moglie Vittoria guardano avanti “Ma sempre – sottolineano – col raboso come tratto distintivo”. Con loro abbiamo degustato un Raboso del Piave Doc 2017 , pieno e avvolgente, caldo e morbido, fruttato ma pure minerale; un Carmenere Piave Doc 2017, affinato per 12 mesi in legno, con le caratteristiche note speziate e di pepe nero che chiamano carni rosse e primi piatti particolarmente saporiti; un Malanotte del Piave 2016 e un Incrocio Manzoni 2019 Igt Veneto. Proprio il Manzoni Bianco è il grande interrogativo di Antonio Bonotto: “è un vino conosciuto, che ci rappresenta, aromatico e profumato ma che ci piacerebbe potesse essere più versatile con note sapide e freschezza più accentuate. Ci stiamo lavorando e continueremo a lavorarci”.