La politica non può circondarsi di nostalgie e rimpianti; non può ridursi alla testimonianza culturale cavillosa, passatista ed autoreferenziale. La Politica deve essere quella dell’oggi con vista sul domani e possibilmente sul dopodomani
Ora come ora lo sport nazionale, tanto più in questa fase congressuale, è parlare del PD non fosse altro che da quelle parti si può dire tutto e pure il suo contrario rischiando di avere torto in entrambi i casi. E allora se vogliamo parlare di PD parliamo di quello che rimane di un partito, definizione nobile che le giovani generazioni faticano a capire e che indica una parte, un gruppo di persone, di cittadini, di elettori che riconoscendosi in un programma si organizzano per portarlo a compimento nelle istituzioni attraverso i suoi rappresentanti. Troppo semplice? C’è stato un tempo in cui funzionava così, il tutto favorito da un sistema elettorale proporzionale uguale a qualsiasi livello amministrativo: chiunque fosse desideroso di impegnarsi in politica poteva riconoscersi in una “Parte” di essa condividendone le idee e le iniziative confrontandosi con tesi, antitesi e mozioni congressuali a qualsiasi livello. La filiera della rappresentanza era una certezza, dalla base ai vertici, altro che piramide rovesciata.
Premesso questo, la politica non può circondarsi di nostalgie e rimpianti; non può ridursi alla testimonianza culturale cavillosa, passatista ed autoreferenziale. La Politica deve essere quella dell’oggi con vista sul domani e possibilmente sul dopodomani. Tuttavia, l’oggi ci dice che a differenza di quando si votava a qualsiasi livello (comunale, provinciale, regionale, nazionale e poi europeo) col sistema proporzionale puro, adesso votiamo in un modo per le comunali, un altro per le regionali, un altro ancora per le politiche e per le europee. Com’è pensabile vivere ed organizzare una “Parte” senza che la stessa possa proporsi alle scadenze elettorali a viso aperto con regole certe e omogenee a qualsiasi livello? Com’è possibile avere basi solide e sguardo lungo con questo sistema spurio e arzigogolato di selezione ed elezione delle classi dirigenti? Ecco, non è possibile! Molte parti, o come si direbbe adesso movimenti o cartelli elettorali, sono costrette ad un circolo vizioso che le obbliga costantemente a guardare alla sola, prossima scadenza elettorale non alle prossime generazioni. Tanto più che la politica oramai si fa quasi esclusivamente nelle istituzioni non anche, purtroppo, nelle sezioni o nelle diramazioni territoriali delle parti. Una politica spesso esclusiva per azzeccagarbugli, populisti, esperti di risiko, di tattica non certo di strategia, ad uso e consumo di un’élite di eletti che si organizzano col solo scopo di perpetrare sé stessi. Un’oligarchia scollata dal corpo elettorale che come conseguenza si astiene sempre di più dal voto o cambia frequentemente idea passando indistintamente da destra a sinistra con una rapidità impensabile fino a pochi anni fa.
Tutto ciò ci dice che non è tempo per le “Parti” che attingevano esclusivamente dal mondo delle idee la propria visione dello Stato, di concorso alla vita democratica e all’esercizio della responsabilità amministrativa nel Paese. Oggi come oggi coloro i quali ritengono ancora attuale proporsi come Partito non possono restare a metà del guado dove non si è più egualmente vicini alle due sponde ma si è egualmente lontani. E le due sponde si chiamano leaderismo e collegialismo con le derive monarchia, o peggio dittatura, e assemblearismo. Il Partito che alla luce dei tempi ha bisogno di identificarsi in una guida forte ed autorevole non può permettersi di vederne svilita la leadership costringendola ad un esercizio di continua, snervante mediazione tra le diverse parti della Parte. Il correntismo dei pochi che hanno interesse a distinguersi e ad andare periodicamente alla conta è una patologia che mina la conduzione di qualsiasi organizzazione rendendola incomprensibile, impresentabile ed inefficace. Per converso una leadership che indugia troppo sul personalismo, costruita sui media, sui social, che arringa gli elettori con populismo di bassa lega e pochi contenuti è destinata a durare lo spazio di una tornata elettorale. Ne sono esempio alcune meteore precipitate al suolo dopo aver intercettato il 40% circa dei consensi: Salvini e i cinquestelle uniti dal populismo spinto finalizzato alla sola raccolta di consenso elettorale.
E pensare che una delle due gambe sulle quali è nato il PD, il vecchio PCI, faceva del centralismo democratico un aspetto distintivo: discutevano in comitato centrale, si confrontavano su tesi e antitesi, ma fatta la sintesi parlava uno per tutti e tutti indistintamente d’accordo sulla linea. Diversamente non restava che andarsene. E allora un Pd che volesse ancora e orgogliosamente definirsi partito prima di guardare alle future scadenze e alle possibili alleanze elettorali dovrà capire con quale identità, programma, idea di futuro proporsi da qui in avanti agli elettori. Anche da solo. Non significa parlarsi addosso e non c’è niente di inutilmente introspettivo nel fare questo al fine di coinvolgere, allargare e includere una società civile disponibile a partecipare. Ma dovrà soprattutto recuperare la capacità di riconoscersi attorno ad una leadership autorevole, contemporanea, in grado di comunicare adeguatamente con tutti gli strumenti più attuali e in tutte le piazze comprese quelle virtuali. Ascoltare tutti, includere, ma il teatrino dei distinguo nei salotti televisivi o nelle colonne dei giornali, superata la fase congressuale, sono sempre state e sono ancora di più di questi tempi, un esercizio di autolesionismo. Per tutti, in primis per chi, come il PD ne ha fatto un tratto distintivo.