L’organo della respirazione, assieme all’esofago, è l’ingrediente base della
fongadina co tanto, tanto tocio. Per assaggiarla recatevi in un’osteria della
Marca trevigiana…
La fongadina in tocio, co tanto tocio (il tocio, termine dialettale, indica
in generale il sugo e in particolare quello di pomodoro) è un
piatto popolare, particolarmente diffuso nel Veneto fino a trent’anni
fa, quando anche del bovino non si buttava niente. Si tratta
di un caposaldo del cosiddetto “quinto quarto”, interiora e dintorni,
che hanno fatto la fortuna delle osterie dell’entroterra. Un piatto
scomparso in tutti i sensi dalle cucine casalinghe e dalla ristorazione,
anche quella più tradizionale, il cui nome parrebbe derivare dalla sua
vaga somiglianza con i funghi in umido. Di sicuro è diventato, in una
vulgata veneta a dir poco desueta, sinonimo godereccio di accoppiamento
(‘ndare in fongadina, tociar a poenta e così via).
Si tratta di una pietanza a base di frattaglie di vitello o di agnello, a
seconda dei gusti di chi la prepara e alla disponibilità nel mercato, dove
la parte del leone la fa il polmone. L’ingrediente principe riassume
la ragione della sua scomparsa, perché le massaie venete già negli anni
del primo benessere (gli ‘80 del secolo scorso) potevano nobilitare
cuore, fegato, al limite reni…. ma il polmone quello no, spettava al gatto!
Oggi che neppure il felino di casa se lo fila più, abituato com’è al
sapore di scatoletta confezionata, l’organo della respirazione è stato relegato al ruolo di reietto della gastronomia. Eppure c’è chi non si rassegna
e ritiene che, preparato in umido e accompagnato da polenta e vino corposo della Marca (un buon Raboso Piave è la morte sua), sia una carne da urlo: certamente non per tutti i palati, terrorizzante per alcuni benpensanti del gusto, ma Dio salvi chi sta combattendo la battaglia per conservare la memoria di questa ricetta. Andrea Procida, il titolare della trattoria di cui parleremo, racconta: “La preparazione della fongadina richiede un lavoro meticoloso e appassionato. Deve gratificare, sapendo di rispondere alle aspettative del cliente che a noi chiede territorio, cultura e memoria”. Da prodotto povero a ricetta di nicchia per palati consapevoli. “I giovani spesso inorridiscono quando gli si parla di polmoni ed esofago. Ma a me non interessa omologarmi ai costumi, per quanto le pietanze vadano svecchiate e proposte sempre con un pizzico di fantasia. La proponiamo al banco, come intermezzo, come antipasto e anche come secondo”. Un piatto, se non del tutto scomparso, certamente agonizzante. Il tessuto selezionato dal bovino è vascolarizzato, per cui il sapore si presenta deciso, ferroso e non esattamente cool. Ci vuol fegato per mangiare polmone, penserà qualche
lettore. Ma il fegato, per i veneti, è altra cosa e altra pietanza, tutt’altro
che scomparsa, essendo stata fatta conoscere nel mondo da Arrigo Cipriani
a la venexiana. Qui però non siamo in laguna, ma in campagna.
Perciò godetevi la fongadina, in modiche quantità se soffrite di colesterolo
e senza freni se non è un vostro problema.
Gustala alla… Trattoria da Procida – San Biagio di Callalta (Treviso).
Oggi la trattoria Da Procida di San Biagio di Callalta, provincia di Treviso, è diventata meta di pellegrinaggio per chi vuole celebrare la sacralità della fongadina, preparata secondo tradizione ma solo su ordinazione.
“Gli stessi macellai, fegato e trippe a parte, non hanno quasi più un mercato sulle animelle, sulla milza, sui reni, sul cuore, figuriamoci sui polmoni”, sentenzia Bruno Bassetto, apprezzato macellaio e gastronomo trevigiano
autore di un libro intrigante in materia: Fra tagli e frattaglie. La sua opinione, per quanto riguarda gli italiani e gli stessi veneti, è senz’altro vera. L’evoluzione (o involuzione?) dei consumi ha portato con sé un approccio funzionale alla carne, che per vendere dev’essere
magra, facile e veloce da cuocere, sapere di poco e presentarsi agli occhi del consumatore in modo rassicurante.
Pensare però che il bovino sia soltanto un ammasso di filetti e altri tagli pregiati fa imbestialire Andrea Procida, il titolare della trattoria, che ha una storia radicata: lui ne incarna, verbo quanto mai appropriato in tal caso,
la quarta generazione. Un’epopea ottocentesca quella di Procida, partita con i coniugi Voltarel, bisnonni di Andrea, che furono i primi ad occuparsi di ristorazione in questo locale. Erano una coppia per bene che desiderava
a tal punto un erede da adottare dal locale brefotrofio Alberto e sceglierne, come d’obbligo allora, il cognome: Procida. Alberto si sposa, si occupa della sala e, tra una mescita e l’altra, fa pure il mediatore di case, bestiame, vino. La moglie Giuseppina viene piazzata tra i fornelli per imparare dalla suocera i segreti di una cucina semplice, basata sui prodotti del territorio e operante in base alle richieste dei clienti. Nel 1925 nasce Giorgio, anche lui oste e pure bachicoltore. La moglie Malvina? In cucina, a imparare dalla suocera: una tradizione che si tramanda di generazione in generazione. Arriviamo così ad Andrea, erede di mura e banconi ma soprattutto di un bagaglio di usi e profumi, da coltivare e insegnare come il più prezioso dei ricordi. Una responsabilità verso il prossimo, verso i giovani da educare perché così è stato e così, si spera, sarà. E la moglie Oriana in cucina, a imparare dalla suocera. Perché la storia culinaria dei Procida è declinata al femminile.
La tipicità è naturalmente nella cultura contadina veneta del Novecento. Non mancano mai la trippa, gli animali da cortile (anitra, gallina e faraona) cotti in maniera diversa e il bollito che viene proposto in cinque pezzi: testina di vitello, lingua e pezzi di manzo, gallina e musetto (cotechino), ai quali possono aggiungersi coda o altri tagli in base alla disponibilità. Si trova spesso il baccalà e, al venerdì a pranzo (ah, la tradizione!), il pesce: seppie, anguilla con gli amoli e altro ancora. Tra i primi piatti, zuppe e paste fatte in casa con ragù di carne e verdure. Inutile chiedere un listino, non ce l’ha! “E nemmeno intendo metterlo. Qui si viene a mangiare sapendo che si trova una cucina caratteristica, preparata con quanto di fresco e stagionale
troviamo nel territorio” dice Andrea. A proposito, non è gradita la prenotazione… se si va da Procida si vuole Procida. E uno spazio, in un locale che ha mantenuto il calore di un tempo lontano, lo si trova sempre. Vecchi grammofoni e credenze, mobilio caldo all’interno e spazio per sedersi e bere un’ombra all’esterno, sotto un pergolato di frasche, in una vera e propria osteria di campagna. Primo, bis di secondi con acqua, vino e caffè al costo medio di trenta euro.
Fongadina co’ tanto tocio.
Ingredienti Polmone ed esofago di vitello, cipolla, alloro, sedano, rosmarino, prezzemolo e aglio, olio extra vergine di oliva, una noce di burro, pomodoro fresco a pezzi, 1 bicchiere di vino bianco, noce moscata e chiodi di garofano.
Preparazione Lavate bene il polmone e l’esofago di vitello, scartando la trachea. C’è chi vi mette anche milza, cuore ed esofago. Bollite le carni per quaranta minuti con cipolla, alloro e sedano. Preparate a parte un battuto di cipolla, rosmarino, prezzemolo, fate rosolare l’aglio per qualche minuto in olio extra vergine di oliva e un po’ di burro, quindi aggiungete il battuto. Dopo aver tagliato a listarelle le carni, aggiungere in cottura prima l’esofago e poi il polmone, avendo quest’ultimo una fibra più fragile e spugnosa. Quando la cottura è in fase avanzata si versa un bicchiere di vino bianco e il pomodoro fresco a pezzi. Dopo mezz’ora, verso fine cottura, aggiungere
una grattugiata di noce moscata e qualche chiodo di garofano. Servire caldo, con abbondante polenta e un bicchiere di robusto vino rosso in accompagnamento.
E me racomando!!! Co tanto, tanto tocio.