Mi sento profondamente cattolico, laico, riformista, conservatore, liberale, liberista, socialista, democratico, popolare, moderato. E così sarà il mio centrino.
Rieccoci, cari nostalgici. In odor di elezioni politiche, più o meno imminenti, si sgomita che è un piacere. Quando si voterà? Dipende come sempre dalle nobilissime e altissime e purissime letture e intenzioni dei parlamentari che, al solito, guardano all’interesse generale dello Stato e dei cittadini mica al proprio particulare... Nella prossima legislatura ci saranno meno senatori (da 315 a 200) e meno deputati (da 630 a 400) e questo, invece che ricondurre ad un minimo di sobrietà, continenza, lungimiranza, scatena appetiti smisurati. Girano tutti col pallottoliere, considerate anche le prove generali dell’imminente elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Su una cosa sono tutti o quasi d’accordo: si vincerà al centro. Ma chi? Chi vincerà, chi perderà considerato che un secondo dopo l’esito elettorale inizieranno le consultazioni del Capo dello Stato che dovrà comporre ed accompagnare una maggioranza parlamentare ad esprimere una compagine di Governo? Eppure, si vince al centro, dicono tutti, cosa sia il centro non si sa. Detto così da l’idea di una palude, un blob plasmabile alla bisogna per raffazzonare una rappresentanza parlamentare da accodare ad una maggioranza numerica, meglio se risicata. Ben lontano dall’idea di centro che fu rappresentato, nella mai troppo rimpianta prima repubblica, in particolare dalla Democrazia Cristiana, dal Partito Repubblicano, dal Partito Liberale. Grandi partiti che, come altri, avevano un pensiero, un’ideologia, una cultura politica, un programma e soprattutto un’organizzazione ed una filiera della rappresentatività che andava dal primo parlamentare all’ultimo iscritto dell’ultima sezione del più piccolo e dimenticato Comune d’Italia. Partiti che vincevano e perdevano, con la certezza di esserci stati, esserci, ed esserci in futuro gratificando quel senso di appartenenza che votanti e militanti sostenevano con impegno e convinzione.
Eppure si vince al centro. Dopo il crollo delle ideologie, la caduta del muro, per noi anche dopo lo scoppio di tangentopoli e lo sbarco nella Seconda Repubblica, vincere al centro ha significato la costruzione di cartelli elettorali imperniati sul leader di turno, senza storia e quasi sempre con scarsissimo futuro. Dalla DC sono nati il Ppi di Martinazzoli e Bindi e poi il CCD di Casini, e il CDU di Buttiglione. Poi la Margherita, e l’UDC di Casini, l’Udeur di Mastella, Alleanza Popolare. Sono passati, più o meno al centro, Scelta Civica di Monti e l’Ncd di Alfano (Forza Italia fa un po’ storia a se e questo sarebbe argomento altro, lungo e complesso). E questo a fermarsi ai cartelli di eletti, costruiti nelle istituzioni, che spesso hanno durato lo spazio di una legislatura se non mezza. Poi nel Paese un nugulo di circoli, salotti e salottini di nostalgici che con tempi, modi e sigle diverse, che spesso richiamavano la DC, hanno provato a rianimare poche truppe, nostalgiche e arrendevoli.
Eppure si vince al centro. Si, si continua a vincere al centro, dicono. Da ultimo sono nate al centro: l’Altra Italia di Toti, Coraggio Italia di Brugnaro, Insieme di Zamagni, Noi Con l’Italia di Lupi, Ndc (Noi di Centro) di Mastella e poi Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda. Un esercito, se va bene, di zero virgola su base nazionale o poco più. Molti di questi hanno storia, cultura personale e politica, idee, progetti e programmi diametralmente diversi. Possono stare assieme? Può un Paese pensare di progredire aggrappato alle sorti di una sommatoria di zero virgola?
Il punto allora è questo. Il centro è un barile da raschiare a fondo, un contenitore privo di identità e prospettiva dove tuffarsi per strappare uno zero virgola in grado di garantire, forse, una sparuta truppa di parlamentari, i soliti, pronti a cambiare casacca il giorno dopo e più volte nella legislatura. E’ il luogo dove si collocano movimenti che nascono la mattina e spesso spariscono la sera e gli artefici di questi cartelli elettorali sono sempre gli stessi da trent’anni o giù di li. Guai ad avere una storia, dei riferimenti ideali chiari, una struttura organizzativa, una collocazione politica definita in Italia e in Europa. Su questo tutti i “centrini” e i “centristi” sono uguali. Sono tutti, contemporaneamente, espressione della migliore tradizione cattolica, laica, riformista, conservatrice, liberale, liberista, socialista, democratica, popolare, moderata. Lo sono da trent’anni. Lo dicono da trent’anni. Ma si può essere contemporaneamente popolari europei e socialisti europei? Riformisti e conservatori? Essere di centro oggi, per come è stato inteso e raccontato significa galleggiare nel presente privi di identità culturale, privi di idealità, privi di un’idea di Paese, privi di un’idea di società, privi di una visione politica chiara e proiettata al futuro. Nasce un centrino al giorno e sono tutti uguali come i barili di una barricaia.