Scusatemi tanto ma non riesco a ridurlo ad un post su Instagram. E per quest, temo, non leggerete nulla di quello che ho scritto. E’ prolisso e forse anche scritto male. Ma forse no.
Le ultime elezioni amministrative italiane hanno dato dei segnali evidenti e uno su tutti: un tasso di astensionismo crescente e mai così alto dalla fondazione della Repubblica. Protesta? Anarchismo? Magari! Pezzi emarginati, esclusi, disagiati, dimenticati e irrecuperabili di società? Anche, purtroppo! Ma la cosa peggiore in assoluto, che questo fenomeno presente da tempo evidenzia, è l’apatia politica strisciante che colpisce un po’ tutte le classi di età e gli strati sociali, in particolare i più giovani. Al netto di analisi macro e microeconomiche, storiche, demografiche, sociologiche, note ai più e che da decenni raccontano il crollo di modelli esistenziali ed organizzativi “novecenteschi”, l’implosione dell’occidente, la globalizzazione, la turbo-rivoluzione tecnologica, la fuga dalla politica intesa come luogo di partecipazione ai processi decisionali e amministrativi atti a individuare e perseguire gli interessi di una comunità organizzata, l’astensione generalizzata e crescente dal voto resta una deriva difficile da capire e codificare. Certo è che per i più è un campanello d’allarme. Anzi, oramai per i meno.
C’è un aspetto da mettere in luce. Più l’ente locale da rinnovare è piccolo e più, mediamente, cresce la percentuale dei votanti (Zaia in Veneto, mi scappello, non fa testo ed è veramente l’eccezione che conferma la regola). Grazie al … , direte. Nei comuni ci si conosce, si vivono i servizi e la realtà sociale ed economica del territorio e i sindaci sono il primo riferimento quando si hanno problemi con le pubbliche amministrazioni, gli competa o meno. Ne consegue che più aumenta la distanza tra l’organo amministrativo da eleggere e la platea degli aventi diritto al voto e minore è l’affluenza alle urne. Perché? E anche su questo si è scritto molto e si potrebbe scriverne per una settimana intera, ma in sintesi: sono tutti uguali, fanno quello che vogliono, ci prendono in giro, non cambia nulla. Chi sono? L’oligarchia di eletti e cortigiani che a colpi di post, slogan, provvedimenti autoreferenziali e talvolta fuori dal tempo e dallo spazio sembrano guardare più al marketing elettorale e alle prossime elezioni che alla sostanza. Sono distanti, elitari, disinteressati. E allora, si chiedono gli astensionisti, se il mio sforzo di partecipazione e informazione non conta nulla perché “Siete tutti uguali”! (compresi i rivoluzionari cinquestelle che mi compiaccio di non aver mai sostenuto ne votato) cosa si vota a fare? Se poi a prescindere dall’esito delle elezioni c’è bisogno del migliore, del commissario (Draghi in questo caso), per mandare avanti la baracca, e se proprio deve essere oligarchia, a sto punto riunetevi in conclave e nominatelo direttamente senza bisogno degli elettori. Ecco il punto: lo scollamento, la distanza crescente tra gli eletti e gli elettori, tra i boiardi di stato e gli amministrati, tra la classe dirigente nei sindacati, nelle associazioni imprenditoriali, di categoria, nel gotha della finanza, nelle elite culturali e dell’informazione e tutti gli altri che a ieri, al massimo, si sono riconosciuti, almeno un po’, nei vaffa di Grillo, nei post della Bestia e oggi spesso, purtroppo, nelle urla e nelle piazze dei no pass – no vax e nelle derive sovraniste e filonaziste che imperversano in Europa. Ecco il punto: il conflitto generazionale tra i tappi, gli over “anta” e i tappati, gli under trenta. E oggi? Oggi se votassimo per scegliere tra monarchia e repubblica, valevole qualsiasi quorum, vincerebbe la monarchia. Perché se la democrazia e il suffragio universale sono una conquista, ma solo per il salotto buono degli eletti e delle elite, almeno, dicono, “non prendeteci per il culo”. Quindi? “Non voto”!
Se ne uscirà? Come sempre, in qualche modo. Ma il problema è il modo. Aspettandomi autunni caldi, confusi e tumultuosi come mai negli ultimi trent’anni, quello che manca da tempo e continua a mancare è la speranza che si possa cambiare, migliorare, evolvere. Bisogna che i più giovani si appassionino alla democrazia, alla libertà, al voto, alla partecipazione e alla politica e rifuggano la “confort zone” degli smartphone, dell’apatia e dell’anarchia. Possono occuparsene le elite? Difficile, ma dovrebbero. Come? Uscendo dagli slogan e avendo il coraggio di tornare alle ideologie, se non alle idee; ai partiti e alle sezioni; ai congressi e alla rappresentanza territoriale. Più piazze , pacifiche e costruttive e meno caminetti. Al di la dei contenuti i giovani vanno conquistati e convinti che la loro partecipazione, il loro ascolto, la loro opinione e quindi il loro voto contano. Contano veramente.