
Che sia terra di frontiera non vi sono dubbi. Arrivando al Passo della Borcola (1207 m slm) da Val Posina, versante orientale del massiccio del Pasubio, in prossimità dell’omonima malga di Leonardo Gerola, si entra in comune di Terragnolo (TN) e si passa dal Veneto al Trentino Alto Adige, dalla provincia di Vicenza a quella di Trento (un tempo dall’Impero Asburgico alla Repubblica di Venezia e dall’Austria all’Italia) sul volgere di duecento metri circa.
Più che un confine un vertice, una sintesi storica e amministrativa, dove il ventottenne Leonardo, schivo e laborioso, esprime pienamente il rigore e l’operosità tipica delle genti di queste valli. E anche l’attaccamento ostinato al suo paese e la preoccupazione per lo spopolamento di boschi e contrade. Si narra che lo stesso Attila arrivato al passo della Borcola, viste le vallate aspre sottostanti, abbia detto: Hanc terram nolo, ovvero “Questa terra non la voglio”, da cui Terragnolo.

In effetti qui si sgobba parecchio in rapporto al clima e all’ambiente. E la fatica è la cifra del lavoro che Leonardo ha scelto e inteso portare avanti dal 2010 ottenendo in concessione la malga, sulla scia degli sforzi portati avanti per decenni dai nonni e dai genitori sempre su questi monti e pascoli. «I miei nonni — ricorda — dal 1964 al 1986 sono sempre stati tra Terragnolo e malga Borcola dove vivevano da giugno a settembre. La loro era un’agricoltura di sussistenza con poco bestiame ristallato. Nonno Enrico gestiva anche il caseificio del paese e trasformava il latte conferito. Dal 1987 sono arrivati altri gestori in malga ma nel 2010, dopo un restauro impegnativo portato avanti dal comune, ho vinto la gara d’appalto e da allora la conduco io».

Diplomato alla scuola alberghiera e cuoco di professione, dopo alcune stagioni negli alberghi il richiamo del bestiame, non solo della foresta, ha avuto la meglio. «La mia passione sono sempre state le bestie. E a Terragnolo dieci anni fa circa nel giro di poco tempo sono arrivato ad allevare 30 capi tra capre e pecore. Poi è arrivata la malga e così mi sono dedicato esclusivamente alle vacche da latte. Fare il cuoco mi piace e quando ne facevo la professione principale lavoravo e guadagnavo parecchio. Ma alla sera, all’ora di coricarmi, non ero soddisfatto. Da quando faccio l’allevatore e in Borcola pure il ristoratore mi sento realizzato. Mi ammazzo di lavoro ma vado a letto contento». Attualmente le vacche in lattazione sono ventisei, munte tre alla volta e tre i quintali di latte prodotti al giorno. «Sono partito con la razza Bruna, poi Frisona e Pezzata rossa ma adesso mi trovo bene con le Rendene, le Grigie.
Sono animali più rustici e adattabili a queste zone impervie e alle temperature. È inutile che abbia in stalla una Frisona che con queste condizioni climatiche e ambientali non produce quanto potrebbe». Poi ci sono pecore, capre, oche, galline, pavoni, maiali vietnamiti. «Vendiamo le uova e il resto è per abbellire la malga e dare un’attrazione a famiglie e bambini. Gli animali da reddito sono solo le vacche da latte per la produzione del nostro formaggio».
In malga i Gerola ci restano da maggio a settembre. Poi le strade vengono chiuse e le condizioni diventano impraticabili. Ad ottobre, dopo una breve transumanza di pochi chilometri, il ristallo a Terragnolo. E qui ancora allevamento per trasformare il latte presso il caseificio di Lavarone. «Tutto il latte viene trasformato da mio padre Candido in burro, tosella, ricotta e yogurt. Viene consumato e venduto principalmente qui e poi impiegato in cucina, dove mi aiuta mia mamma Laura. Parliamo di formaggi base senza ingredienti aggiuntivi oppure aromatizzati al timo, erba cipollina e peperoncino».

In cucina si propongono piatti della tradizione locale e di propria produzione. Spiccano gli Gnocchi di pane con le erbette della Borcola e quelli di ricotta conditi con timo e burro raccolti e prodotti in malga. E poi il fanzelto, tipico pane sottile preparato col grano saraceno della valle (che è presidio Slow Food) usato per accompagnare formaggi e insaccati, ma anche mieli e confetture e gnocchi con lo stesso grano. Immancabili polenta e gulasch, salsicce e cervo. E i dolci, veramente speciali. Il tutto viene annaffiato da birra artigianale del birrificio Due Valli di Posina, la birra terragnola fatta con l’acqua di Terragnolo e birrificata in Folgaria, alle quali si aggiungono le classiche birre industriali nazionali. Come vino si va dal Merlot al Chardonnay passando per Lagrein e Marzemino, rigorosamente in bottiglia. Una scelta territoriale per quanto possibile.

«Qui abbiamo all’interno 25 coperti e poi fuori sotto il gazebo possiamo arrivare anche a cento. Lavoriamo soprattutto il fine settimana e durante le festività. Ma anche nelle altre giornate non ci possiamo lamentare».
Fare della malga una tappa gourmet e ampliare il menu? «Ci siamo informati per introdurre bovini da carne magari con una linea vacca-vitello e macellare i nostri bovini, ma gli animali dall’abbattimento al sezionamento ci costano 7/800 euro a capo. Al momento non ne vale la pena. In queste condizioni, considerati pure gli spazi a disposizione, non sarebbe fattibile e remunerativo».
Ti vedi qui per i prossimi 30 anni? «I miei iniziano ad avere una certa età e se un domani dovessi avere una famiglia mia sarà complicato fare la stagione in malga così come la faccio adesso. Anche perché qui non mi permettono di fare nulla. Se avessi voluto andare via dal mio paese avrei potuto farlo anni fa in Valsugana dove mio zio fa il veterinario e mi aveva proposto di raggiungerlo essendoci molte stalle chiuse. Ma io voglio stare a Terragnolo, voglio fare impresa al mio paese, ampliare la stalla e aumentare il numero di capi abbinando un caseificio container.

Da noi il paese conta solo seicento abitanti ed è popolato soprattutto da anziani. Le famiglie vanno a Rovereto (TN) e per questo bisogna investire ed attirare giovani e coppie. Mi voj farme na fameja qua! Voi star al me paese! Ho lavoro, attività, investimenti. Il lavoro in genere non mi spaventa, mi preoccupano di più le tasse e le imposte che gravano sulle imprese. Credo di aver fatto una scelta difficile, contro tante situazioni e, al di là dei giusti richiami alla prudenza, io lo faccio per mia soddisfazione personale e spero che un giorno arriveranno anche i giusti guadagni. Di quelli che conosco io nessuno si sta arricchendo anche disponendo di cento, duecento o trecento capi».
Ma qui, come nella montagna veneta in genere, ci sono anche problemi di predazione. A luglio scorso, ad esempio, Lorenzo ha dovuto abbattere una vitella perché massacrata da un lupo o da un orso. «Le autorità competenti non l’hanno capito pienamente» sottolinea. «Sta di fatto che da un anno a questa parte la predazione è sicuramente aumentata e lo testimoniano le quantità importanti di camosci aggrediti e mezzi mangiati che si ritrovano tra i monti». Non bastasse, c’è pure l’attività boschiva. «Ho iniziato anche a far legna nei boschi che poi vendo al paese. Mi piacerebbe dedicarmi anche alla coltivazione dei piccoli frutti di bosco che adesso hanno mercato. Ma dovremmo recintare gli appezzamenti per la presenza dei cervi».
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