La Cina e i cinesi. Un mondo percepito ancora così distante in occidente, Italia compresa, che anche il virus si pensava dovesse restare confinato li. Ma il virus, come le merci, viaggia in un mondo globalizzato, interconnesso h24 e l’uomo, animale sociale per definizione, è un veicolo eccezionale. Viaggiano le merci, viaggiano gli uomini, viaggia il virus ed è pandemia. In cinque mesi è cambiato il mondo, non c’è un vaccino, si parla di periodo di convivenza, di fasi uno, due, tre, forse quattro per allentare step by step i lacci di un inevitabile lock down duro e pesante come un macigno per qualsiasi economia capitalistica, consumistica, uguale per tutti i Paesi più o meno democratici, liberali. La Cina era e resta una potenza economica, un partner industriale ma soprattutto un grande mercato di un miliardo e mezzo di persone, con cultura, abitudini, costumi spesso diversi da zona a zona. La cucina tradizionale è ricca e sfiziosa e si consuma alcol, vino compreso. Pensate sia cambiato qualcosa rispetto al periodo pre covid? Non troppo! Acquistavano, acquistano e continueranno ad acquistare cibo e vino su canali diversi. E’ un modello replicabile altrove per prevedere e programmare una fase quattro che rilanci il settore vitivinicolo? Neanche! Fanno sempre storia a sé. Ne abbiamo parlato con manager, sommelier ed esperti internazionali che hanno dipinto uno spaccato chiaro e comprensibile: vuoi vendere in Cina dopo il corona virus? Si fa così…
Ad Alberto Antinucci, China Business Expert, imprenditore seriale, stratega digitale, business coach, trasferitosi a Taiwan all’età di 19 anni e che da anni concentra il suo businness in Cina, abbiamo chiesto se l’imprenditore che volesse esportare in Cina o iniziare dal nulla a costruirsi un mercato debba avere adesso, post pandemia, un approccio diverso. “No! Quello che cambia i paradigmi dei consumi In Cina – sottolinea Antinucci – non sono le emergenze. I cinesi ascoltano le autorità e se ordinano di stare a casa la gente sta a casa. Non è solo disciplina è abitudine, cultura, capacità di ubbidire storicamente provata e accettata. Sono un miliardo e quattrocento milioni di persone che devono essere organizzate, educate, trasportate, servite, vestite e nutrite tutti i giorni. E’ una enormità che noi europei non abbiamo presente. Esistono meccanismi e situazioni che sono incredibili. Il più piccolo degli asili pubblici ha diecimila bambini che devono essere seguiti da enne maestri che devono saperli gestire, tenerli in riga. Noi lo vediamo come un sistema militaresco ma loro sono semplicemente organizzati, ordinati e coordinati. Se viene dato un ordine da una voce autorevole, si ascolta. C’è un senso civico elevato”.

E’ per questo che i consumi e gli acquisti di vino sono rimasti sostanzialmente immutati? Per la loro capacità di convivere con quelle che per noi sono restrizioni vincolanti e scomode?
“Arriva l’ordine e si adattano. Nei quattro mesi di serrata sono aumentati gli acquisti on line, tutto li. Uno dei miei clienti in Cina è la 1919 che è un portale di vendita on line e off line di soli alcolici da bere e che promuove e vende tutti i marchi di tutti i prodotti del mondo dalla birra ai liquori di alta gamma. E’ la prima e più grande piattaforma al mondo di distribuzione retail di vini con più di 3000 punti vendita sul territorio cinese e dopo aver ricevuto un investimento da Alibaba per circa 190 milioni di dollari a fine 2018, puntano ad arrivare a 3500 punti vendita entro la fine del 2020. Li ho chiamati un paio di mesi fa per capirne l’andazzo post lock down. Mi hanno detto che hanno lasciato a casa trecento persone circa. Ma la situazione in Cina è diversa da come la possiamo immaginare: prima del capodanno cinese si spostano tutti dal loro posto di lavoro e tornano al paese d’origine, nelle campagne, molte volte anche a migliaia di chilometri di distanza. E li molti sono rimasti. La situazione del covid ha bloccato i negozi fisici e le persone. Ma durante il lock down le vendite sono state mantenute e ci sono stati dei momenti in cui hanno raggiunto picchi molto alti. Io ho l’esempio di un’offerta lanciata il 5 di marzo di vini rossi di origine europea e nell’arco di una giornata sono state vendute 120mila bottiglie. Molto probabilmente era una partita molto grande di un vino non troppo costoso arrivata a fine dicembre o comunque prima del capodanno cinese. Ma simili risultati in una Cina chiusa e bloccata sono significativi. Poi va considerato che la logistica in Cina è eccellente”. Non dobbiamo pensare che in Cina ci siano spostamenti di grandi camion, sottolinea Antinucci, che vanno e vengono da grandi magazzini centralizzati trasportando prodotti diversi. “Ci sono molte più consegne fatte ad hoc – sostiene – con trasporti di prodotti specifici. Avendo questa azienda tremila punti vendita si può immaginare che le 120mila bottiglie non siano partite tutte dalla sede centrale ma da sedi diverse a seconda della provenienza dell’ordine. La logistica è molto ramificata fatta di piccoli camioncini che hanno continuato a lavorare per la consegna di merci e soprattutto per la consegna di cibo a casa. Il punto vendita al dettaglio era chiuso ma all’interno dell’azienda dove c’era la necessità di mantenere in piedi la catena del fresco o la distribuzione di beni di prima necessità i cinesi erano operativi. E’ stato molto interessante da capire sta cosa”.
Pronti via. Essere attrezzati per competere, spedire, incontrare i gusti cinesi sul vino non è cosa semplice. Il vino rosso come lo conosciamo noi è stato portato dai francesi un centinaio di anni fa ed era bordolese. Lo hanno chiamato vino rosso (On cio) e con questa definizione i cinesi intendono il bordeaux. ”Secondo me – continua Antinucci – l’Italia nonostante abbia il più alto numero di vitigni autoctoni e di tipologie di vini a denominazione d’origine e sia il più grande produttore di vino al mondo manca ancora di cultura su come affrontare il mercato cinese. Le aziende vinicole italiane dicono “ho il vino buono e costa poco”. Con questo ingresso pensano di poter vendere in un mercato come quello cinese dove non sei nessuno e rimarrai tale se non parli di te e se non ti fai prima conoscere in maniera adeguata. Il popolo cinese non è nato con la bottiglia di vino sulla tavola. Gli è stato insegnato che se vai in un determinato tipo di ristorante a mangiare cibo occidentale questo deve essere accompagnato con del buon vino che si fa pagare. L’idea di avere un vino a tavola con un prezzo piuttosto alto è abbastanza ben accetta. Il valore medio delle bottiglie che si trovano anche nei supermercati di più largo consumo e nei piccoli punti vendita che sono disseminati dappertutto è superiore al nostro prezzo medio nella gdo che si tara sui quattro, cinque euro. Sono abituati a pagare di più, anche tanto. Non è un problema per i cinesi l’esborso, ma devono essere sicuri di avere un prodotto con una reputazione. Una bottiglia esclusiva, con un volto, nota e riconosciuta. Qui bisogna lavorare! Il mercato del vino è interessante, naturalmente in crescita, ma per poter vendere del vino bisogna essere conosciuti. Quello che deve cambiare nell’approccio dell’imprenditore europeo alla Cina è la propensione a cercare delle interfacce locali di comunicazione che siano in grado di proporlo e promuoverlo. Della spedizione, anche un singolo cartone da sei bottiglie, se ne occuperà direttamente la casa madre, l’azienda vitivinicola italiana. Tra l’altro questa modalità operativa è vantaggiosa per l’utente finale che acquista. E’ vero che va a pagare un po’ di più sul trasporto che sarebbe comunque stato messo sul prezzo finale anche da qualsiasi importatore. Ma con un forfait significativo paga meno tasse per un acquisto fino a duemilasettecento euro circa per un collo unico comprensivo di sei prodotti”.
Esiste un numero minimo di bottiglie da proporre per cui ad un imprenditore italiano possa convenire aggredire il mercato cinese ma soprattutto perché ad un grande distributore off o on line possa ritenere interessante un’azienda?
“In realtà non conviene fare delle grosse spedizioni. Se tu il vino lo vendi direttamente all’utente finale che ti fa l’ordine di un cartone tu il vino così come ce l’hai lo prendi e lo spedisci con i corrieri più noti in una confezione idonea, antiurto ecc. come si usa, a mister x che abita nell’appartamento y del condominio z. Se invece vieni notato da case importatrici che vogliono costruire un business sul tuo vino e lo chiedono a container bisogna essere pronti, seguire le regolamentazioni ed avere tutto a norma. Ma prima di tutto, ripeto, bisogna preoccuparsi di far sapere che tu hai un vino di grande qualità e che sei disponibile a venderlo. Chiunque abbia un buon prodotto e sia interessato ad approcciare il mercato cinese deve prima presentarsi e raccontarsi e deve continuare ad alimentare lo storytelling fino a che i consumatori si rendano conto della qualità del prodotto, inizino a parlarne e a passarsi impressioni e informazioni. Nel momento in cui subentra l’interesse, il valore riconosciuto, ecco che partono le richieste di acquisto. L’azienda deve essere pronta”.
La promozione in Cina?
“Si fa solo attraverso la comunicazione digitale diffusa (veivchen, uibo…) videoinformazione, posizionamenti sui siti di ricerca. E’ comunque un lavoro mirato sulla comunicazione digitale. Devi essere visibile, presidiare i canali con costanza almeno per un anno e mezzo. Dopo un po’ di mesi la gente inizierà a conoscerti nel mentre tu contatti i vari kol, gli influencer cinesi, dando loro la possibilità di assaggiare e far assaggiare il tuo vino. Una raccomandazione: anche l’etichettatura è importante. Se c’è qualcuno che ti chiede di importare il tuo vino io mi domanderei veramente chi sia. Il rischio è che il tuo nome e la tua storia vengano utilizzati dai canali di distribuzione che vendono la tua etichetta senza acquistare il vino da te. Bisogna sempre partire dalla protezione della proprietà individuale che non è il vino. Il prodotto è il nome, il brand, non il vino. Con un cliente abbiamo registrato il nome dell’azienda in tutte le sue varianti e poi abbiamo registrato anche il nome specifico di un vino focalizzando la campagna di comunicazione su quel vino. Poi abbiamo proposto anche gli altri. C’è stato un lavoro mirato durato un anno e mezzo e quello che ha aiutato molto sono stati i wine tasting organizzati nelle maggiori città della Cina. Si organizzavano grandi cene in cui si beveva il nostro vino abbinato ai loro cibi. Cosa questa fondamentale. I loro cibi sono diversi dai nostri con caratteristiche organolettiche particolari, speziati e piccanti. A volte il vino classico da tavola nostro non troppo strutturato, alcolico, mediamente intenso viene percepito privo di sapore e piacevolezza. L’importante è non andare in Cina pensando di insegnare ciò che è buono e ciò che non è buono. Bisogna capire il loro cibo e quindi la loro cultura per poi proporre il vino che ci sta meglio”.
La superficie vitata cinese è in aumento, le zone ci sono, la cultura enologica cresce. Ma la superficie vitata è destinata a crescere? “Si! Loro sono bravissimi. Non tutte le zone cinesi sono adatte ai vitigni più famosi. Ci devono essere accortezze. Ma la Cina è un mercato enorme e se il trend dei consumi è in aumento loro cercheranno di produrne sempre di più per soddisfare il mercato interno. E questo anche considerato che i cinesi sono molto orgogliosi del loro paese per cui potendo scegliere tra due vini con caratteristiche organolettiche e prezzi sovrapponibili è logico scelgano il vino cinese”.
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Anche per Gianni Eliani, responsabile per il mercato asiatico di eurosommelier che ha vissuto per anni in Cina ed ora vive e lavora prettamente a Taiwan, Il mondo del vino in Cina è cambiato, cambia e cambierà alla velocità della luce, soprattutto dopo la pandemia.
Da quanti anni sei sommelier? da quanto collabori con Eurosommelier e da quanto ne hai fatto una professione?
“Ho iniziato il mio viaggio nel mondo del vino nel 2012, dopo essermi laureato in lingue orientali con indirizzo cinese ed ho trovato spazio all’interno della squadra di Vinitaly International. La mia idea sin da quando ho scelto l’indirizzo “Orientale” nel 2009, era quella di unire la conoscenza di una lingua con la conoscenza approfondita di una delle eccellenze italiane: il vino. Lo studio del vino vero e proprio arriva dopo qualche anno e nel 2015 ho preso due certificazioni: il secondo e il terzo livello WSET (Wine Spirits Education and Trust). European School for Sommelier, di cui S.E.S ne è la filiale italiana, ha da qualche anno attivo un progetto di insegnamento di corsi per sommelier, nella regione Guangxi, nel sud della Cina. Il presidente di EES, Arcangelo Tommasello, appresa la mia passione per il vino e conoscenza della lingua cinese, mi ha proposto di entrare a far parte del progetto “Cina”, proposta che ho accettato con molto entusiasmo. Il primo viaggio in Cina per la scuola l’ho fatto a Marzo del 2019. In concomitanza con la proposta di Arcangelo (siamo sempre nel 2018), ho conosciuto Alessio Carteri, veronese DOC che vive da qualche anno a Taipei, Taiwan, dove importa e distribuisce vini Italiani. Non appena gli ho raccontato del progetto di ESS, mi ha subito proposto di aprire con lui una sede della scuola a Taipei e dopo 2 anni di progettazione eccomi qui a scrivere proprio dall’isola”.
Come funziona il vino in Cina?
“I cinesi hanno una lunga tradizione legata al consumo di alcol. Il vino però è arrivato molto dopo rispetto ad altre tipologie di bevande alcoliche (il baijiu la fa ancora da padrone), ed ancora oggi viene visto come un bene “di lusso”. Dei cinesi apprezzo la determinazione con cui si appassionano, studiano e si dedicano al vino. Basti pensare che il numero di iscritti a corsi di vino in Cina negli ultimi anni è cresciuto molto di più che in altri paesi. Aggiungo che altri paesi sono stati più scaltri rispetto all’Italia che, nonostante negli ultimi anni sia riuscita ad aumentare la propria percezione in termine di vini di qualità, sia ancora indietro. Questo momento ci potrebbe dare la possibilità di riposizionarci, ma dobbiamo muoverci uscendo dai canoni tradizionali oggi obsoleti nel mercato cinese”. A Taiwan i primi a pagare le conseguenze della serrata da virus sono stati i ristoranti, i bar e gli export asia manager che non hanno più potuto viaggiare. “Ovviamente anche noi ci siamo trovati a dover cancellare eventi e corsi per mancanza di iscritti. Con Alessio, il mio socio, ci stiamo organizzando per l’imminente futuro con le nuove tecnologie. Stiamo studiando una piattaforma di supporto per le cantine già presenti o che vogliono affacciarsi all’Asia. In Cina invece tutto si è fermato con il mio ultimo viaggio di dicembre scorso. Loro sono riusciti in poco tempo a digitalizzare tutto, dalle lezioni scolastiche alle attività burocratiche. Nel giro di un mese hanno spostato online tutto ciò che prima si faceva di persona utilizzando e rafforzando soprattutto un’applicazione già molto diffusa ed usata: wechat. In Cina i nostri corsi sono rivolti principalmente a degli istituti “vocazionali” i quali insegnano agli studenti determinati lavori (dal cuoco, al magazziniere, al mulettista, al personale di servizio in hotel) tra i quali finalmente è stato inserito anche quello di sommelier. Di questi istituti in Cina ce ne sono numerosi, attualmente noi lavoriamo con diversi nelle città di Liuzhou, Guilin, Nanning e Qinzhou”.
E’ cambiato l’approccio al vino dei cinesi post pandemia? E cambierà adesso?
“Il vino per un cinese è sempre stato un bene di “lusso”. E per questo durante la pandemia è stato cercato un po’ meno e quasi esclusivamente tramite gli acquisti on-line. Sarà fondamentale per chi vorrà mantenere i rapporti con la Cina a distanza utilizzare Wechat e lavorare a “stretto contatto” con gli importatori per rafforzare la vendita fino al cliente finale. E per fare questo, bisogna sicuramente puntare a rafforzare il proprio brand per rendersi riconoscibili, affidandosi a players di fiducia, e investire su di essi”.
Cosa non hanno ancora capito gli imprenditori vitivinicoli italiani del mercato cinese? E cosa dovrebbero fare per costruirsi un mercato cinese?
“Prima di tutto uno degli errori più grossolani è pensare che la Cina sia per tutti. Non lo è. È un mercato dalle forti esigenze e peculiarità, soprattutto culturali, e non tutte le cantine sono in grado di stare al passo con questo mercato. Altro errore comune è quello di ragionare all’italiana, puntando nel più breve tempo possibile a chiudere un contratto. La Cina ha tempi molto lunghi e necessita di numerosi viaggi, cene, tazze di tè, etc. Questa pandemia allungherà ancora di più i tempi per stringere rapporti con il paese del dragone, quindi adesso più che mai visto che la possibilità di viaggiare sarà limitata, è importante affidarsi a persone di fiducia sia nel proprio team che in Cina. Se ad essere riconoscibile è il paese ed il suo vino, il lavoro degli imprenditori diventa ancora più “facile”.
Quali caratteristiche deve avere un vino per piacere ai cinesi? E quali sono i vini che meglio si adattano alla loro cucina tradizionale?
Una volta sarebbe stato più facile rispondere: rosso, alcolico e con un grado zuccherino residuo elevato, meglio se francese. Bottiglia pesante e nome conosciuto. Oggi le cose stanno cambiando grazie alla veloce e continua presa di coscienza e conoscenza di cosa c’è nel bicchiere. Storia leggermente diversa per paesi come Taiwan o Hong Kong, dove la cultura del vino è più matura dovuta a maggior contatto con realtà vitivinicole di diversi paesi. Per quanto riguarda l’abbinamento vino – cibo mi sentirei di dire che l’errore che spesso i colleghi europei fanno, è quello di portare la propria cultura occidentale in una parte di mondo dove non è a mio avviso applicabile. Il modo di abbinare che utilizziamo noi (generalmente 1 piatto – 1 vino), non è applicabile da questa parte dove pietanze di ogni genere vengono consumate nello stesso momento. Se dovessimo seguire la regola 1-1, dovremmo avere tante bottiglie quante pietanze. In aggiunta la cucina cinese tradizionale non è 1 sola, se ne possono contare almeno 8, qualcuno dice pure 10, dipende da dove ci troviamo in Cina. In fine, esiste una differenza sostanziale nel modo/motivo di bere: una della caratteristica dei vini italiani, per esempio, sta proprio nell’acidità, e fa di questi vini, vini perfetti per l’abbinamento. Gli italiani, come gli europei, bevono vino in accompagnamento col cibo. In Cina bere alcool è legato culturalmente alla tradizione del “ganbei”, quello che noi chiamiamo brindisi. Quindi di per sè poco importa cosa si mangia, l’importante è avere una bevanda alcolica con la quale poter brindare con i propri amici, famigliari, clienti etc. Quindi, tornando alla domanda, tutti i vini e nessun vino si addice al “cibo tradizionale cinese”.
La viticoltura cinese ha un presente e avrà un futuro? Con quali vini? E fino a quanto potrà crescere acquisendo spazio nel mercato interno?
“Il vino cinese sta registrando un’interessante evoluzione dal punto di vista qualitativo. Le pratiche in vigna sono attente e la cultura enologica in aumento. Se penso ancora a certi vini bevuti nel 2011 stringo ancora le labbra. Oggi invece possiamo parlare di vini fatti a regola d’arte.
Per quanto ne so, il wine lover/wine expert associa ancora al vino cinese un’idea di bassa qualità e quindi difficilmente lo compra. A questo va aggiunto che il costo del vino cinese è molto elevato dovuto a costi di gestione del vigneto alti, tecnologie avanzate e costi di cantina (enologi stranieri, macchinari etc..). Interessante che alcune bottiglie di vino cinese costino anche 4 volte una bottiglia importata dall’italia e soggetta a tassazione.