Penso soprattutto a quanto accadde nel 1963 nel vicino Friuli-Venezia Giulia quando divenne regione autonoma: non mi risulta che nella DC veneta ci sia stata un’analisi profonda su quanto avvenne e sull’opportunità di portare avanti anche nel Veneto una simile rivendicazione. Dubito che Zaia e soci abbiano voglia di strappare con la Lega Lombarda e di creare un grande di partito di raccolta dei veneti sulla falsariga della CSU bavarese o della stessa SVP sudtirolese

Il Popolare oggi ha intervistato Ettore Beggiato. Consigliere regionale dal 1985 al 2000 eletto con la Liga Veneta, Union del Popolo Veneto e Lega Nord/Liga Veneta e assessore regionale dal 1993 al 1995. Autore di diversi saggi, fra i quali “1866:la grande truffa. Il plebiscito di annessione del Veneto all’Italia”, “Questione veneta”, “1809: l’insorgenza veneta”, “La Repubblica Settinsulare”.
Cosa pensi della DC e della sua scomparsa? Perche’ si e’ dissolta la galassia democristiana soprattutto in Veneto? E’ una storia finita o potrebbe ancora animare dei percorsi in politica?
La DC nel Veneto ha rappresentato, per tanti anni, il vero partito di raccolta dei veneti, ha espresso una notevole classe dirigente, a partire dai sindaci dei nostri comuni, anche se il “cursus honorum” di tutti costoro era finalizzato alla conquista di un seggio “romano”; pochi, voglio dire, avevano l’orgoglio di appartenere al nostro popolo, il popolo veneto. Poi è arrivata la stagione della decadenza (tangentopoli) che ha portato la decapitazione del partito ad opera di una integralista toscana (Rosy Bindi) che ben poco conosceva della storia della DC nel Veneto e che ha pensato bene di buttare con l’acqua sporca (il marcio che stava dentro al partito) anche il bambino (la DC veneta, ovvero un patrimonio di buona amministrazione, soprattutto a livello comunale, un radicamento straordinario e una capacità di rappresentare l’intera società veneta). Bisogna anche dire, per la verità, che negli anni ottanta e novanta la DC aveva perso la forza propulsiva e si era allontanata dalla nostra gente; ricordo bene che alle elezioni politiche del 1983 che furono caratterizzate dal primo successo della Liga Veneta, una delle zone nelle quali la DC fu maggiormente penalizzata fu l’alta padovana: avevano candidato il prof. Lipari, nel collegio blindato di Cittadella. Venne percepito dagli elettori come un estraneo, qual era, e la fecero pagare al partito “romano” che l’aveva imposto. La DC nel Veneto ha anche una colpa “storica”: non aver coltivato l’autonomia. Penso soprattutto a quanto accadde nel 1963 nel vicino Friuli-Venezia Giulia quando divenne regione autonoma: non mi risulta che nella DC veneta ci sia stata un’analisi profonda su quanto avvenne e sull’opportunità di portare avanti anche nel Veneto una simile rivendicazione. Credo sia una storia finita; è cambiato il mondo con il crollo del Muro di Berlino, la fine della guerra fredda, della contrapposizione DC-PCI, del ruolo centrale della Chiesa nella società veneta e italiana. Rimane, però, la necessità da parte del mondo della politica di riappropriarsi di un ruolo centrale, di concepire la politica come momento di mediazione “alto”, di formazione, di confronto, della politica come passione civile.
Ritieni la prospettiva popolare europea e regionale una prospettiva anche in termini di autonomismo e regionalismo? Declinabile oggi come e dove?
Per me la battaglia autonomista e regionalista va intesa esclusivamente nell’ambito europeo; ancora nel 1987 fondai un partito, l’Union del Popolo Veneto che aveva nel suo simbolo il Leone di San Marco all’interno della bandiera europea. Autonomia e autogoverno vanno intesi nelle dinamiche di confronto e di relazioni con la casa comune europea non certo in una dimensione di chiusura e isolazionista. E siamo in tanti, in tutta Europa, che credono in questa prospettiva: catalani, baschi, bavaresi, corsi, scozzesi, sardi, migliaia e migliaia di europei che appartengono alle cosiddette “Nazioni senza stato”. Va rafforzata la dimensione “regionale” e quella europea e va ridimensionato il ruolo degli “stati nazionali”, i primi nemici di un’autentica unione europea.
Cosa pensi della Lega e di Zaia nella Lega? Potrebbe lui avere la forza di riproporre una CSU in salsa nordest di pari autorevolezza e prospettiva?
La Lega nel Veneto ha una propria specificità, anche se è troppo subalterna alla Lega Lombarda; continuo a vedere tanta bella gente, soprattutto nella base, gente spontanea e generosa. Zaia si sta dimostrando un ottimo amministratore anche se da lui mi aspetto una dimensione “politica” più pregnante, più autorevole e anche più spregiudicata. Nella battaglia per l’autonomia continuo a vederlo troppo attendista, con i risultati che ha portato a casa nel referendum del 2017 e nell’ultima tornata elettorale è lecito attendersi un atteggiamento più rivendicativo nei confronti di Roma e nei confronti di via Bellerio, la sede centrale della Lega Lombarda. In fin dei conti quando la Lega è stata al governo con Salvini vice-premier non è riuscita a dettare l’agenda del governo, in particolare per quanto riguarda l’autonomia del nostro Veneto. Hanno portato a casa quota 100 ma dell’autonomia neanche a parlarne. In questo quadro dubito che Zaia e soci abbiano voglia di strappare con la Lega Lombarda e di creare un grande di partito di raccolta dei veneti sulla falsariga della CSU bavarese o della stessa SVP sudtirolese anche se la buona parte della base e dei votanti chiede proprio questo.
Come vedi il futuro politico? Il cattolico in politica?
Faccio molta fatica a ipotizzare il futuro. l’Italia è nata centralista grazie alla politica espansionistica dei Savoia che hanno messo insieme popoli che nulla avevano in comune e il centralismo la porterà a implodere su se stessa. Si tratta solo di vedere la velocità con la quale imploderà. Faccio fatica a vedere un futuro decente per questo Paese e come me la pensano i centinaia e centinaia di giovani veneti che, con prestigiose lauree in tasca, fuggono ogni giorno dalla nostra Terra. In questo quadro anche il mondo cattolico stenta a far sentire la propria voce, con una Chiesa, tra l’altro, caratterizzata da pesanti contraddizioni. E’ un vero peccato in una Terra, come la nostra, dove il cristianesimo ha sempre avuto un ruolo fondamentale.
Ha senso parlare di federalismo, di autonomia nelle istituzioni se non esiste un regionalismo nei partiti?
Bella domanda! Il federalismo non è solo una dottrina politica, per conto mio è anche una filosofia di vita. Se sei federalista lo sei sempre, a partire dal tuo partito. E invece ormai i partiti sono sempre più centralisti, sempre più in mano a leadership forti, dove il leader di turno impone la sua linea. Quando Salvini ha cambiato radicalmente l’obiettivo del partito che si chiamava “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”, passando da prima i veneti a prima gli italiani, ha chiesto il parere, il voto dei veneti? A me non sembra! E come può essere credibile un federalista che in casa propria si comporta come il peggior dei centralisti? Degli altri partiti italiani, sia di destra che di sinistra, neanche parlarne. Basta vedere come decidono i candidati alla presidenza delle regioni o i candidati sindaci delle principali città, per non parlare dei candidati alla camera o al senato, troppo spesso estranei ai territori che dovrebbero rappresentare.
Federalisti? Ma per cortesia! E questo è incomprensibile soprattutto nel Veneto dove la battaglia autonomista è sempre stata presente come ho cercato di dimostrare nel mio “Questione veneta”, dalla rivoluzione veneta di Daniele Manin nel 1848 al progetto per costruire una federazione politica regionale nel 1889 di Ferruccio Macola, dal “Comitato veneto per il decentramento e le autonomie” di Pierluigi Mozzetti (1896), al parlamentare repubblicano Guido Bergamo che nel 1920 a Montebelluna infiammava le piazze denunciando “Il governo centrale di Roma, questo governo di filibustieri, di ladri e camorristi organizzati non si accorgerà di noi se non di decideremo a far da noi” all’associazione “San Marco par forza” nata negli ambienti partigiani subito dopo la seconda guerra mondiale per non citare che alcuni momenti della nostra storia, allo statuo della nostra Regione che ancora nel 1970 parlava di “autogoverno del popolo veneto”.