Rovigno, la piccola Venezia, la perla dell’Istria tutta sole e mare splende anche d’autunno. Un luccichio più intimo e per certi aspetti accattivante. Un silenzio ovattato, lontano dagli schiamazzi dei gitanti, da godersi come solo i rovignesi “autoctoni” o “naturalizzati” sanno fare una volta chiuso il periodo balneare e con esso una parte degli esercizi commerciali stagionali.
Rovigno è un po’ il paradigma elegante, cool, ineludibile di tutta l’Istria e la Croazia vacanziera. Con gli abitanti e gli operatori economici che da un lato si interrogano sui destini di un turismo solido e in continua espansione ma che temono massivo, eccessivo, da parco giochi; che sanno preda di investitori, spesso stranieri, alla caccia di immobili da destinare alla ricettività spiccia. E dall’altro scrutano preoccupati un orizzonte produttivo ed occupazionale da costruire duraturo e di prospettiva per i giovani da impiegare non solo nei consolidati settori della pesca e del food. E’ un’apprensione diffusa, latente. Con tanti imprenditori che legano questo fenomeno al progressivo, inesorabile spopolamento dei centri minori e alla migrazione dei giovani che sempre più spesso cercano fortuna altrove in Europa o oltre oceano. Jure Matic, quarantaduenne titolare col padre Giacomo e la madre Nemeca della Konoba Jure, è tra questi. Il suo è un ristorante per rovignesi che vuole lavorare tutto l’anno. Per arrivarci nel dedalo delle strade e stradine sopra al porticciuolo, località Lacosercio, devi avere una guida affidabile. Lo devi cercare. Non ci sono cartelli, nessuna indicazione.

E in questo sta la prima scelta di Jure: non confondersi con i colleghi ristoratori fronte mare. Quelli che lavorano solo d’estate e che incalzano i turisti con proposte non sempre chiare e distintive. E poi, la seconda scelta: la stagionalità dei prodotti acquistati e trasformati e il chilometro zero o poco più. “I clienti – sentenzia Jure – non devono domandarsi perché non ci sono i menù. Non possiamo avere tutto e sempre. Il pomodoro a gennaio da noi non si mangia. Compriamo fresco quello che troviamo dai contadini a noi vicini. Ed è anche un modo per sostenere la piccola economia locale e cercare un rapporto con questi operatori di reciprocità di interessi senza ingrassare la grande distribuzione”.

Il locale è nato sette anni fa, ha quaranta coperti, ed ha un unico grande problema: la fatica a trovare personale disponibile e adeguato alla proposta gastronomica. “Adesso vogliono tutti fare i grandi chef per piatti griffati che sembrano un quadro di Picasso. Quando gli propongo di lavorare nel mio locale dove proponiamo una cucina casereccia, rispondono picche. Già dieci tra i miei amici e colleghi dediti alla piccola ristorazione nostrana hanno chiuso perché non hanno trovato personale. E d’altronde lavorare da me, senza carta, è difficile perchè devi conoscere le lingue. Io parlo correttamente croato, italiano, inglese e tedesco. Lavoro quindici, sedici ore al giorno ed ho l’esigenza primaria di assumere, formare e impiegare personale adeguato”.


Il locale è a immagine e somiglianza di Jure: schietto, schiena dritta e zero fronzoli. Costruito sugli insegnamenti dei nonni che Jure cita ogni piè sospinto. E sulla convinzione di non voler replicare un ristorante simile a quello che per anni il padre ha gestito in città. “Su questo con lui – ricorda Jure – ho sempre litigato: non si faceva ristorazione ma industria. Ma io non voglio acquistare pesce dagli allevamenti o congelato e di provenienza atlantica. Compero da pescatori fidati. E non congelo niente. Sono cresciuto con i nonni contadini che facevano in casa il formaggio, la marmellata e gli insaccati. Acquisto la carne di bovino e pecora da piccoli macellai e prosciutti e salsicce da piccoli allevatori dopo aver visto le stalle: non puoi avere quaranta maiali all’ingrasso se attorno non disponi di due ettari di terra sulla quale coltivare quanto serve per nutrirli adeguatamente. Il cliente che viene da me e vuole pesce? Se non ce l’ho o mangi altro o vai da un’altra parte. L’importante, ripeto, è la freschezza e la qualità della materia prima”. Pasta fatta in casa. Cinque le pietanze a base di carne proposte: polpettone, cevapcici fatti a mano, salsicce, fettine di filetto e roast beef, braciole di maiale e agnello. “Io credo di essere onesto, di essere me stesso. Quello che non mangerei io non lo darei al cliente. Questo mi hanno insegnato i miei nonni”. Ma alla fine si torna al cruccio principale: “Noi istriani e croati in genere non possiamo vivere tutti di appartamenti da affittare. E’ pazzesco. Credo che l’ingresso in Unione Europea ci abbia danneggiato in questo senso favorendo una circolazione di uomini e merci senza testa e quindi un emigrazione enorme che ci sta mettendo in ginocchio. Ma i giovani sono così! Vanno nelle capitali europee e guadagnano 2500 euro al mese e si sentono arrivati spesso non capendo che i mie 1500, rapportato ai rispettivi costi della vita, valgono di più”.