Recente, bellissima lettura. “La Memoria del Pesce Rosso” di Bruno Patino (Ed. Vallardi) cattura e stupisce per profondità e chiarezza. Mi limito a riportare qualche stralcio del libro. “Non ti ricordi più che cosa hai fatto ieri sera? Perdi 10 minuti tutte le mattine alla ricerca delel chiavi di casa? Cominci con lo scroll su Instagram e un attimo dopo è già ora di andare a dormire? Non sei solo. Anzi. Questo libro ti spiega gli interessi multimilionari dietro il calo di memoria collettivo della civiltà post-digitale, e come difendersi.


Si profila una nuova saggezza, una nuova pratica della libertà. La frattura digitale esiste ancora, certo. La disuguaglianza futura, però, è completamente diversa: si tratterà di avere non più accesso alla connessione, ma alla disconessione. Accesso non alla musica, ma al silenzio, non alla conversazione ma alla meditazione, non all’informazione immediata, ma alla riflessione. I seminari di disintossicazione tecnologica si moltiplicano. I ritiri spirituali nei monasteri hanno cambiato natura: prima bisognava sfuggire al mondo per trovare Dio, ora bisogna sfuggire agli stimoli elettronici semplicemente per ritrovare se stessi. Essere tagliati fuori dai social per essere di nuovo nel mondo. (…)
La creazione di zone senza connessione, analoghe alle zone per non fumatori rientra nelle competenze della sanità pubblica. Scuole, luoghi di scoperta, di preghiera, dibattiti, riunioni: ricevere, celebrare, trasmettere, per riprendere la famosa trilogia di Emmanuel Lévinas, è possibile solo affrancandosi dalla dipendenza digitale. Gli imprenditori della Silicon Valley, che iscrivono i figli in scuole tech free (senza tecnologia), l’hanno capito alla perfezione. (…)
Ciò che vale per lo spazio vale anche per il tempo. Che si parli di pausa o, come gli anglosassoni, della possibilità di “take a break”, la riconquista delle nostre esistenze dipende dalla capacità di definire dei momenti senza connessione, e soprattutto senza interazione sociale digitale. Le notti, naturalmente, i momenti di intimità personale, familiare o con gli amici, senza dubbio. (…)
Bisognerà pure che i social si decidano a integrare nella loro interfaccia la capacità di “lasciarli” per qualche giorno o qualche settimana. Un contrasto profondo rispetto a quello che accade oggi quando l’utilizzatore riduce, anche di poco, il livello di frequentazione delle piattaforme. Viene allora bombardato di messaggi intimidatori (che cosa succede?), dei richiami all’ordine preoccupati (sai cosa ti stai perdendo a proposito dei tuoi amici?), minacce di eliminazione tecnica (rischi di perdere le tue preferenze) mentre i vostri dati personali continuano ad essere memorizzati, utilizzati e attualizzati.


La riconquista del tempo, di momenti di silenzio senza interruzioni e stimoli elettronici dello spazio, permette di rompere un circolo vizioso. Il nostro modello sociale è strutturalmente rivolto verso l’accelerazione, e in ogni misura di rallentamento, in qualunque campo, informazione, media, conversazioni in rete oppure no, perfino il consumo, è un mezzo di resistenza. E’ un mezzo di liberazione. (…)
Esiste una strada possibile tra la giungla assoluta di un internet libertario e l’universo carcerario dei social sorvegliati. Questa strada possibile è la vita in società. Ma non possiamo lasciare a queste piattaforme il compito di organizzarle da sole, se desideriamo che non sia popolata di esseri umani imbambolati davanti ai loro schermi, ormai incapaci di levare lo sguardo. (…)