Alberto Battistel, che ha rilevato una macelleria storica proprio nel centro di Venezia, ci racconta cosa vuol dire fare il macellaio oggi nella splendida città lagunare tra mille difficoltà e l’orgoglio di offrire un buon servizio al cliente
Venezia e i Veneziani. La Venezia degli indigeni, degli autoctoni. Quelli che “mia nonna non è mai stata in terraferma”, “al di là del ponte (il ponte della libertà che unisce Mestre a Venezia) sono tutti campagnoli” e “se il ponte crollasse il resto del mondo sarebbe un’isola”… Di questa venezianità, al di là di lustrini e mascherine per gitanti, resta parecchio. Di sicuro restano i sestieri più veneziani di tutti: Cannaregio e Castello. Chi vive qui sfoggia una venezianità orgogliosa. Si sentono gli eredi, in riserva, dei nativi della Serenissima. E così si sente anche Alberto Battistel, macellaio di via Garibaldi, la parte di città tra San Marco e Sant’Elena. «Fino a cinque anni fa e per venticinque anni ho tenuto la bottega in Campo Santa Margherita, poi ho rilevato questa macelleria storica. Un’attività secolare che il gestore precedente ha condotto per oltre sessant’anni» ricorda Battistel. «Venezia “sconta” caratteristiche proprie e irripetibili, sia per i costi di gestione e i trasporti che per la conduzione commerciale, certamente maggiori rispetto alla terraferma. In questa zona ho trovato una più alta concentrazione di residenti ed è con loro che si lavora».
Qui la carne arriva in barca, porzionata; si riforniscono da “Rosa Carni” di Camposampiero (PD) perché vogliono dare al cliente qualità e servizio. «Inutile girarci attorno — sottolinea Battistel — siamo nell’occhio del ciclone. La produzione, la macellazione, la vendita e il consumo di carne oggi è roba da eretici. Da debellare. E invece, da un punto di vista nutrizionale, oltre che per il piacere della buona tavola, la nostra carne controllata e verificata dagli allevamenti al macello è salubre e di qualità. Che i talebani del vegetale facciano come credono, ma la smettano di demonizzare i carnivori e mettere in difficoltà l’economia della carne». Nella Venezia bella, unica, triste, nobile e per certi aspetti decadente, satura di turisti e di contraddizioni, internazionale per storia e tradizione, somma di secolare meticciato culturale, politico e religioso, la macelleria non era solo un’arte, ma una Scuola. E tanti sono le calli e i campielli veneziani che richiamano al bechér o alle beccarie.
Una delle scuole riconosciute come corporazione era quella dei becheri: “istituita sul volgere del 1200, la sede era nella Chiesa di San Mattio di Rialto di cui eleggevano il parroco dal 1436, poi demolita, vicino al campo delle beccarie. Tanti i macelli in città e tante le scuole e le professioni legate alla scuoiatura degli animali e all’utilizzo delle frattaglie: luganegheri (confezionamento e vendita di carni suine e teste, zampe e interiora dei bovini); conciacurami per la concia di pelli di montone e di capretto e la preparazione del cuoio detto ‘curame’; calegheri (calzaturieri…” (fonte: Giovanni Caniato e Renato Dalla Venezia, a cura di, Il Macello di San Giobbe, Università Cà Foscari, Venezia). «Dalle 150 macellerie di qualche decennio fa — prosegue Battistel — ci siamo trovati in 22. Al di là delle difficoltà tipiche di una città come questa, si è sommata la concorrenza dei centri commerciali, che continuano ad aprire puntando su una clientela che ha poco tempo per selezionare i negozi e quindi acquista tutto da un unico fornitore. Facciamo fatica, ma abbiamo l’orgoglio di voler raccontare al cliente dove acquistiamo, come selezioniamo; di consigliarlo su un taglio piuttosto che su un altro a seconda della preparazione culinaria; di proporgli preparazioni gastronomiche e rosticceria selezionata. Insomma, a volte ci sentiamo gli assistenti sociali dei carnivori». Un pensierino alla ristomacelleria è stato fatto ma… «acquistare mura, restaurare e inseguire i coperti a Venezia significherebbe caricarsi di costi difficilmente ammortizzabili. Meglio concentrarsi sul servizio e sulla qualità delle carni, uscire per andare dal fornitore, a macello, a vedere e valutare il prodotto di persona, e poi raccontarlo al cliente con dovizia di particolari».
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Macelleria Battistel Alberto
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