
La disfida euganea. Sul cucuzzolo del Monte delle Forche a Zovon di Vo (Pd) la contestazione enologica ha l’immagine sessantottina di Alfonso Soranzo. L’accoglienza che riserva ai curiosi e agli appassionati è sempre gioviale ma con noi ha esordito con due fendenti: “qui si son sempre fatti i vini bordolesi e bisogna continuare a farli e bene. E il nostro moscato di riferimento è quello bianco”. Come considera la docg “fior d’arancio” ne è diretta conseguenza.

La sua è una valutazione storica, agronomica, geologica del tutto personale. Ma è il ritratto fedele di chi è passato dal corno francese (strumento musicale) al corno letame (concime), sul volgere di un ventennio. E quindi dall’agricoltura del padre, convenzionale e di sussistenza, alla biodinamica. Il vino è al centro di un approccio rispettoso alla terra, alla vigna, alle stagioni e soprattutto al lavoro in cantina: fermentazione da lieviti solo indigeni, vinificazione in cemento, macerazione delle bucce sempre, sia uva bianca che nera, maturazione sulle fecce fini, zero chiarifiche o filtrazioni forzate.
Quattro ettari e mezzo di superficie vitata a corpo unico che poggiano su terreni di origine vulcanica composti da argille, marne e trachite (roccia magmatica effusiva), centottanta metri di altitudine e filari esposti a sud/sud-est. Dominano le uve internazionali Merlot, Cabernet Franc e Carmenére, ma troviamo anche autoctone, come Marzemina Nera Bastarda, Turchetta, Corbinona, Recantina, Pattaresca e Cavrara, che sono parte di un progetto di recupero di vecchie varietà coordinato da Veneto Agricotura. Tra le uve a bacca bianca oltre alla Garganega e al Moscato Bianco troviamo Pinot Grigio, Malvasia Istriana, Traminer e Marzemina Bianca. Bottiglie prodotte 20mila circa.
Ai vini cosiddetti naturali si è affacciato nel 2000 circa per poi abbracciare negli anni la produzione dei cosiddetti vini biodinamici. “Credo di essere giunto da poco, dopo vent’anni di studi e lavoro, a vini di qualità soddisfacente che all’inizio potevo solo immaginare. Sono il risultato di suoli vivi che imprimono all’uva e quindi al vino dei sentori caratteristici e identitari del territorio euganeo”. Nessun fertilizzante, trattamenti limitatissimi con piccole quantità di soli rame e zolfo.

I vini assaggiati, due bianchi e due rossi non tradiscono le aspettative. Garganega e Moscato bianco 2017 i primi, Cabernet Franc 2016 e Carmènere 2017 i secondi. Entrambi i bianchi mostrano un colore dorato carico (orenge forse sarebbe eccessivo) tipico dei vini bianchi macerati, ed esaltano i sentori iodati e un po’ affumicati. Del moscato bianco si apprezzano i profumi fruttati e di erbe aromatiche, corpo ed alcolicità sostanziosi e una discreta lunghezza in bocca. Dei rossi la verticalità al naso fatta di frutti a bacca rossa, di pepe nero, tabacco e una nota verde in particolare nel carmenere, la robustezza del corpo, la mineralità e sapidità di bocca e una trama tannica che si fa sentire. Sono vini franchi, da abbinamento, che richiamano la varietà e il terroir. Buona freschezza e ottima beva.