Risi in cavroman, un esemplare caso di meticciato gastronomico. Le carni
caprine essiccate di animali castrati venivano trasportate dalla Dalmazia per essere cotte con riso e spezie.
Ecco una ricetta dogale, di serenissima memoria, incardinata a pieno tra i piatti popolari tipici della Repubblica del Leone. I risi in cavroman rappresentano un caso esemplare di meticciato gastronomico, trait d’union tra Oriente ed Occidente, che nasceva castrato (ovicaprino) in Dalmazia
e diventava risotto in laguna, con l’aggiunta di spezie asiatiche (cannella, chiodi di garofano) e condimenti padani (burro e parmigiano): piatto unico, perfetta sintesi di opulenza e delicatezza.
Le prime tracce di questa preparazione sembrano trovarsi nel calmiere
dei prezzi che il doge Sebastiano Zani promulgò nel 1173; da allora è rimasto tra le pietanze tipiche, per quanto ormai rare da incontrare, della ristorazione del territorio. Chi si pregia di proporlo da quattro anni, anche alla carta, è Cristiano Agostini, titolare della Trattoria “La Famiglia” di Correzzola, comune della bassa padovana conosciuto per l’imponente Corte Benedettina.
Tornando al piatto, è da rilevare come a suo tempo la carne di questi animali venisse essiccata per permetterne il trasporto su nave e poi reidratata con diversi bagni di acqua, cannella e chiodi di garofano.
La polpa inzuppata veniva bollita, ricavandone una pietanza gustosa
pronta al consumo. Con il brodo restante, e una parte della ciccia,
si preparavano questi risi il cui nome sembra derivare dal termine cavra, con cui in dialetto veneziano si indica la capra. Un animale poco diffuso e ancor meno consumato nel territorio, dove l’allevamento è quasi esclusivamente bovino e suino e dove, fatta eccezione per questo risotto, non esistono ricette codificate a base di cavron. Infatti, commenta Mariù Salvatori de Zuliani nel libro “A tola coi nostri veci. La cucina veneziana”, la ricetta classica del riso in cavroman “ormai in completo disuso, la xe na risetta de’l tempo de i Dogi (e anca de più indrio!) che i dixe de origine orientale, dato che in sto Oriente i fa ancora un gran uso de cavaron castrà”.
Il declino della Serenissima e dei suoi traffici non riuscì comunque a far cadere nel dimenticatoio questo buon risotto mantecato, consumato abitualmente fino a pochi decenni fa tra le classi meno abbienti della città, sostituendo nel frattempo le carni essiccate con quelle fresche (e sempre più spesso la capra con l’agnello) finalmente reperibili sul mercato. Fretta, benessere e pigrizia gastronomica rischiano invece di farlo scomparire ora e per sempre: chi più si mette a cuocerlo così, secondo tradizione, dedicandoci il tempo e l’attenzione necessari?
Gustali alla Trattoria La Famiglia a Correzzola (Pd).
Il posto è suggestivo, ovattato da nebbie frequenti e da una mistica accesa e secolare. Correzzola è uno dei comuni della bassa padovana, non lontano da Piove di Sacco, attorniato da una campagna sconfinata. Già dominio dei Monaci Benedettini che a cavallo del XV° secolo eressero in questo
territorio il fulcro di un governo temporale esteso su tredicimila campi circa (52 chilometri quadrati), il ristorante si trova esattamente
di fronte alla Corte Benedettina. A fianco, in località Terranova, l’argine del Bacchiglione e un chiesa anch’essa suggestiva e meta di funzioni religiose
domenicali. “Abbiamo ascoltato memorie e respirato tradizioni da sempre”, afferma Cristiano Agostini, titolare del ristorante. “Siamo imbevuti di territorio e per questo la nostra ristorazione non poteva esimersi
dal proporne le peculiarità e la cultura gastronomica. È una cucina del ricordo e della stagionalità che seguiamo rigorosamente, certi di garantire con questa la più alta qualità di tutti i prodotti alimentari”. La location affascina per la promiscuità con questo luogo di devozione. Diverse le aie della Corte: c’è quella principale, con l’abitazione dei monaci, e poi granai,
cantine e scuderie, ricoveri di artigiani e lavoranti del legno, tessitori, distillatori, ma anche dei contadini intenti alla cura dell’orto, del frutteto o degli animali da cortile e da stalla. Dopo la conquista di Napoleone, dal 1807 la proprietà passò per un secolo circa alla famiglia Melzi D’Eryl di Milano. Attualmente è smembrata, in parte pubblica e in parte privata. I genitori di Agostini acquistarono nel 1973 l’immobile che ospita il ristorante: all’epoca era soltanto bar, poi con i lavori di restauro e una nuova edificazione iniziò l’attività di ristorazione. In menu troviamo tra gli antipasti la mimosa d’uovo con crudità di asparagi di Pernumia (vicina località), il lardo di casa con crostini, il prosciutto crudo di Montagnana con grissoni fritti, la soppressa della tradizione padovana con polenta abbrustolita e l’agrodolce dell’orto di casa. I primi spaziano dai garganelli con gamberetti e bruscandoli (luppolo selvatico) alle tagliatelle con ragù di somarino, oltre naturalmente ai “nostri” risi in cavroman. Tra i secondi risaltano le rane
fritte con verdure dorate, le seppie nere con polenta abbrustolita,
la tagliata e il filetto di scottona ai carciofi, la faraona “latte e miele”
ripiena cotta in forno con patate, la tagliata di puledro con pomodorini
rucola e grana e il formaggio fuso con verdure grigliate. La carta
dei vini è ricca e piuttosto originale così come particolare, quasi
stravagante, appare la proposta dei caffè. La famiglia Agostini coltiva
direttamente le verdure, servite fresche di stagione, e sceglie le carni
con scrupolose attenzioni per i metodi di allevamento e l’alimentazione
degli animali. “Per noi”, sottolinea il titolare, “è un diletto spiegare ai commensali le proposte culinarie, la provenienza e la storia
dei cibi, i segreti di cottura. E quando i clienti sentono che focacce,
grissoni e pasta sono fatti in casa trovo sempre grossi complimenti”.
Ecco forse l’unica controindicazione, si fa per dire, è la loquacità
di Cristiano, innamorato della cucina e delle memorie a tal punto da
conquistare gli avventori a suon di “ciacole”.
Risi in cavroman.
Ingredienti (per 4 persone): 600 grammi di carne di castrato di capra, 400-500 grammi di riso (ideale il vialone nano), olio extra vergine di oliva, cipolla, 300 grammi di pomodori sbucciati e privi di semi, una stecca di cannella, due chiodi di garofano, sale e pepe, brodo, burro, parmigiano reggiano grattugiato.
Preparazione Come avviene per tutte le ricette popolari, ne esistono parecchie versioni. Ma alla fine resta un risotto arricchito da una dose importante di carne di castrato. Tagliare a pezzi un po’ di carne (indicativamente 600 grammi). Preparare un soffritto versando in una casseruola olio extravergine d’oliva nel quale appassire una cipolla non tanto piccola, tritata grossolanamente. Subito dopo aggiungere il castrato e rosolare ben bene. Aggiungere i pomodori sbucciati e privati dei semi, una stecca di cannella, due chiodi di garofano, sale e pepe e lasciare cuocere
a fuoco lento per 45 minuti. Togliere la carne dal tegame, disossarla e ridurla in pezzetti piccoli. Rimetterla in casseruola e aggiungere 400-500 grammi di riso (ideale il Vialone nano). Dopo aver mescolato per due minuti, coprire a filo con brodo caldo. Continuare a mescolare (sempre nello stesso senso) e aggiungere brodo man mano che restringe e asciuga, sino a che il risotto non sia definitivamente cotto. Togliere la cannella, mantecare con burro e aggiungere parmigiano grattugiato.