La pazienza del garzone. Il risotto coe secoe, un lavoro certosino da macelleria per un piatto condizionato (ingiustamente) dalla sindrome di mucca pazza.
Metteteci voi un garzone di macelleria a scarnare le “secoe” e poi capirete uno dei due motivi per cui siamo di fronte a un piatto pressoché scomparso… Le secoe, termine dialettale veneziano che in italiano si tradurrebbe con “pezzettini”, sono striscioline di carne ricavate dagli interstizi delle vertebre del manzo. Inutile dire che, per remunerare l’opera di paziente e laboriosa asportazione, il prezzo al pubblico farebbe oggi impallidire il miglior filetto. Quando però eravamo povera gente, recuperare il recuperabile costituiva un’occupazione irrinunciabile, perché di carne ce n’era poca e il sacrificio di un bovino, prezioso compagno di lavoro nei campi, non tollerava spreco alcuno. E se questo accadeva più o meno in tutta Italia, a maggior ragione valeva nel caso del Veneto contadino e affamato, dove si moriva di pellagra e nel quale la “carne” per antonomasia, quella di manzo, costituiva un desiderio difficilmente realizzabile. Ne è passato di tempo… Oggi il Nordest d’Italia è una delle zone più ricche d’Europa e, per quanto legato alle tradizioni e alla propria lingua – quel dialetto che anche i bambini continuano a parlare più o meno correttamente – ci sono dei piatti che cadono in disuso. Nel caso del risotto con le secoe, le cui origini sembrerebbero propriamente veneziane, non è solo una questione di passaggio dalla civiltà agricola a quella di un terziario avanzato. Ci si è messa di mezzo anche la cosiddetta sindrome di mucca pazza, la cui comparsa in Italia spinse l’allora ministero della Sanità (marzo 2001) a emanare un’ordinanza che vietava la vendita di quelle parti del bovino che interessavano, tra le altre, la colonna vertebrale. Certo, un conto è la vertebra e un altro il pezzettino di carne che vi è attaccato. Sta di fatto però che, per precauzione, le secoe sparirono immediatamente dalle vetrine dei macellai. Ora la situazione è cambiata: il ministero, ormai denominato della Salute, cessata la presunta emergenza e fatte le opportune verifiche, nel rispetto del protocollo dettato dalla “salvaguardia del rischio”, ne ha riammesso da oltre cinque anni la vendita al pubblico. Trovatele però in macelleria, se siete capaci! Alcuni maligni mormorano che la loro rarità dipende dal fatto che il macellaio se le tiene per sé, conoscendone la bontà. Insomma: per poterne disporre, il ristoratore si deve appoggiare a un fornitore di fiducia. Ed è quel che ha fatto Galdino Zara, contitolare dal 2006 con Eddj Biasiolo di una delle più genuine trattorie dell’entroterra veneziano, “Da Paeto” a Pianiga, dopo aver contribuito in prima persona al successo dell’altrettanto celebre “La Ragnatela” di Scaltenigo, nonché socio fondatore di Slow Food. “Esistono piatti che ti riportano indietro nel tempo”, sottolinea. “Cambiano i gusti, i mercati, le esigenze del consumatore e del produttore e proprio per questo proporre oggi un risotto coe secoe, come altri piatti tradizionali del territorio, è più che originale: diventa quasi rivoluzionario”. Il sapore delle secoe deriva dalla vicinanza all’osso e dal taglio a mano. E Zara le recupera dal “suo” macellaio che gliele prepara appositamente. È un piatto da bacaro veneziano, da vecia osteria così com’era Paeto ottant’anni fa.
Trattoria Da Paeto. Pianiga (Ve).
Chi va da “Paeto” sa bene cosa sta cercando: cucina veneta tipica, legata al territorio e alla stagionalità dei prodotti. Su questo Pianiga è una zona spuria, “sia carne che pesse”, tanto è vicino alla laguna di Venezia e ai
suoi “frutti di mare” quanto immersa nella campagna e, per questo, pregna delle più vive tradizioni contadine, comprese quelle culinarie.
Il locale, in pieno graticolato romano, nasce circa ottant’anni fa come “buen retiro” della gente del posto: na ombra de vin, un mazzo di carte o una partita a bocce evolvendo nel tempo insieme al baccalà, proposto da sempre in tutti modi. Non a caso Paeto figura tra i ristoranti riconosciuti dalla “Dogale Confraternita del Baccalà Mantecato”, nata anni fa per rilanciare il mantecato e la sua ricetta originale, tra i simboli culinari più caratteristici della Serenissima. Al tutto Galdino Zara, che lo ha rilevato nel 2006 dopo una lunga e fortunata esperienza alla trattoria La Ragnatela,
ha aggiunto quarant’anni di onorata professione con un pizzico di “presidi” Slow Food, progetti che tutelano piccole produzioni di qualità.
Il nuovo gestore vi è entrato con le idee chiare: nulla sarebbe cambiato di quella formula originale, soprattutto non lo spirito, ma chiunque da quel momento in poi avrebbe messo piede Da Paeto ne sarebbe uscito contento,
per la qualità del cibo, del vino e per l’entità del conto finale. A cinque anni di distanza possiamo dire che ha avuto ragione. La lista delle vivande cambia con le lune. Quella estiva spazia dagli antipasti di salumi di “casada” (caserecci), sarde in saor (sardine con cipolla) con uvetta e pinoli (ricetta venezianissima), nervetti con cipolle. I primi elencano risotti e maltagliati “coe secoe” e risotto di baccalà, bigoi in salsa (pasta tipo spaghetti con sugo di sarde e cipolle) e zuppa di trippe. I secondi spaziano dal baccalà (gettonatissimo il tris: mantecato, alla vicentina e in umido) al carpaccio di baccalà con caponatina di verdure, pesce del giorno, anche come frittura mista e trippa alla parmigiana. Poteva mancare in Veneto la polenta? Sicuramente no e tanto meno da Paeto, che la cuoce con farina bianca
di mais biancoperla veneto (considerata di pregio e diffusa sin dal secondo
dopo guerra nelle zone comprese tra il Polesine, il Trevigiano e il Veneziano) e la abbina a quasi tutti i suoi piatti. Insalate verdi miste, formaggi e uno spunto particolare nei dessert. Cosa vi aspettereste in un posto simile per concludere il pasto? Certamente non cannoli, cassate e altre delizie siciliane. Invece sì, ecco i dolci di produzione artigianale in arrivo dall’entroterra palermitano. La spiegazione c’è: il figlio di Galdino è convolato a giuste nozze con la figlia dei Cerniglia di San Giuseppe Jato, tra i più rinomati pasticceri della Sicilia. Il conto, comprensivo di vino e caffè, difficilmente supererà i 35 euro.
Risotto con le secoe.
Ingredienti: (per 4 persone) 300 grammi di riso, due cipolle medie, 50 grammi di burro e 50 grammi di olio d’oliva, 3 etti di secoe, 3 cucchiai di passata di pomodoro, sale e pepe, cannella.
Preparazione: Rosolare lentamente in olio e burro la cipolla tagliata sottile. Aggiungere le secoe, bagnare con vino bianco e cuocere con fuoco più vivace. A metà cottura aggiungere passata di pomodoro e a fine cottura cannella in polvere quanto basta. Le secoe così preparate sono la base per il risotto, ma si possono utilizzare anche come condimento nella pasta.