Il sidro, la cultura del sidro ma soprattutto il recupero e l’utilizzo delle mele autoctone delle montagne cadorine in provincia di Belluno sono una missione culturale, storica, antropologica, prima ancora che essere un impresa economica avviata da Andrea Bonalberti e Andrea Concina quattro anni fa in quel di Vigo di Cadore. Ottenere come loro uno “spumante di mele” metodo classico tanto curioso sotto il profilo produttivo quanto originale sotto quello organolettico merita attenzione. In Italia interessa un consumo di ultra nicchia, apparentemente poco competitivo in un segmento di mercato composto da alcolici sovrapponibili al vino. Ma agli occhi, al naso e in bocca parliamo di un giallo dorato, frizzante, perlage medio, le cui caratteristiche sensoriali si giocano su profumi fruttati come la mela verde e gli agrumi, qualche accenno vegetale e di erbe aromatiche e su un sapore dal forte impatto acidico, pronunciato ma non eccessivo, parziale mineralità e soprattutto tannico. Il tannino si avverte, astringe, e questa peculiarità sommata alle altre amplia inesorabilmente il range di possibile consumo e abbinamento per contrasto col cibo, del prodotto: certamente da aperitivo, insaccati, spek e prosciutto crudo, formaggi anche stagionati. paste asciutte condite in maniera ricca e sugosa, carni e pesci in umido e cibi speziati in generale. Titolo alcolometrico tra gli 8 e i 9 gradi, residuo zuccherino al consumo sui 13-14 grammi litro, grossomodo come uno spumante extra dry. Bottiglia champagnotta da 0.75 l. con tappo a fungo e capsula standard. Ma il progetto che prende il nome di “Sidro Vittoria”, sottolineano Andrea e Andrea, nasce principalmente in campo e dopo in sidreria. “Qui abbiamo impiantato due frutteti, oltre a vecchimeleti presi in affitto, entrambi produttivi per quanto quello più vicino al paese è piccolino ed ha uno scopo prevalentemente dimostrativo e didattico. Il grosso lo abbiamo accorpato sotto la montagna conoscendo all’epoca dell’acquisto il primo dramma delle imprese agricole montane, la ricongiunzione terriera. Parliamo di fazzoletti di terra da seicento metri quadri con ventun proprietarie frazionamenti incredibili.Ne siamo venuti a capo dedicando tanto tempo e tanta pazienza arrivando a disporre, ora come ora, di più di un ettaro complessivo che qui è tantissimo. In questo momento abbiamo circa seicento alberi produttivi di varietà tipiche d’oltremanica ma ne stanno arrivando altri dall’Inghilterra. Sono tutte mele e pere da sidro non da tavola. Abbiamo alcune piante di varietà autoctone che abbiamo scelto sulla base di specifici studi dell’azienda Veneto Agricoltura sulle antiche varietà del Veneto come la Calamana trevigiana. Vedremo un po’ come va. Ma la stragrande maggioranza sono meli e peri inglesi specifici per sidrificare. Sono aspre, giuste di tannino, appropriate per la trasformazione”. Una vocazione per la sostenibilità ambientale delle produzioni e una vocazione alla permacultura, cullate con anni di studio e ricerche approfondite. “Abbiamo creato una sorta di frutteto che si autogestisce – puntualizzano – utilizzando cultivar diverse consociati a piante specifiche. Ogni fila, che ha un sesto di impianto piuttosto largo, replica una sequenza ordinata: melo, pero ed azoto fissatore di vario tipo come l’ontano nero che serve per evitare l’utilizzo di fertilizzanti di sintesi. Poi sottochiomale abbiamo associate con bulbi di narciso, che sono fortemente tossici, e allontanano le arvicole o con ginepro, ciliegio selvatico e con tutta una serie di alberi che in teoria dovrebbero essere i buoni compagni di queste piante, della loro salute e capacità di difendersi senza bisogno di additivi chimici. Pensiamo inoltre che come clima questo sia un territorio vocato con inverni rigidi. Il melo ha bisogno di sbalzi termici importanti e poi il freddo aiuta anche contro i parassiti. Qui la cimice asiatica non è mai arrivata. In definitiva parliamo di zero trattamenti anche perché ritengo che parlare di terroir per poi trasformare il terreno in un substrato inerte, caricandolo poi,di fitofarmaci e fertilizzanti industriali di sintesi, non abbia senso”. Entrambi i soci fanno un altro lavoro “che ci mantiene e ci permette di finanziare tutto questo progetto che sta prendendo comunque sempre più spazio. Diciamo che oramai siamo al 50%”. Non stiamo comunque parlando di hobby essendo sempre stato un progetto imprenditoriale. “Sia io che il mio socio abbiamo vissuto quasi dieci anni in Inghilterra dove il sidro è una bevanda di largo consumo. Gli inglesi soffrono del fatto che, salvo rare ed illuminate eccezioni, rispetto al XVII secolo quando il sidro non mancava mai nelle tavole regali e veniva proposto rifermentato in bottiglia, adesso si è ridotto a bevanda quasi banale. Per questo la nostra ricerca ha guardato da subito ai secoli diciassettesimo e diciottesimo. Siamo ritornati indietro recuperando la cultura del sidro cercando di fare sintesi tra mele inglesi difficili da bere per il palato italiano e le mele italiane che mancano sotto il profilo del tannino e dell’acidità ma hanno caratteristiche proprie, distintive”. Il salto di qualità è stato fatto due anni fa quando i due soci hanno preso in affitto la vecchia sede di un’occhialeria artigiana e adattata a cantina spaziosa al momento quanto basta. Il flusso è diviso in tre fasi dell’anno: la prima riguarda la vendemmia che va da settembre ai primi di novembre. “Quest’anno tra l’altro l’abbiamo anticipata di quasi un meseperché ha fatto caldo e le mele erano cariche di zucchero. Portiamo le nostre mele in cantina e dopo il passaggio nelle vasche di lavaggio maciniamo il tutto intero così com’è con una pressa soffice, massimo tre bar, e poi facciamo decantazione e filtrazione grossolana. Il residuo viene usato una parte come compost da utilizzare in frutteto e un’altra parte la diamo ai cavalli. A questo punto si passa alla prima fermentazione, alla “svianatura”, e poi, dopo sette mesi di maturazione, alla rifermentazione in bottiglia con successivo passaggio nei giropallettes per portare i lieviti in punta, congelatoree sboccatura finale con l’aggiunta di liquer d’expedition quasi sempre sidro base o talvolta con qualche sperimentazione di frutti diversi come il prugnolo”. A concludere poi tappatura e gabbiettatura. Non è microfiltrato e prima dell’immissione sul mercato, passati i controlli preposti, viene addizionato di solforosa. “Pochissima – sottolineano – sperando nel tempo di arrivare a zero”. La resa media di sidro in rapporto alle mele raccolte è del 60%. L’ultima raccolta ha portato 70 ettolitri per 8mila bottiglie su 11 tonnellate circa di mele raccolte nei meleti del cadore. Nel tempo, con queste dimensioni, potremo arrivare a 20mila bottiglie. Le pere ancora non vengono sidrificate. “E’ più difficile. Un giorno avremo come in Inghilterra il sidro di pere e il sidro di mele”. Al momento, stante l’esiguità dei numeri, il prodotto viene utilizzato per campionatura e vendita franco cantina. “E questo ci è servito per avere feedback necessari a capire e tarare il percorso intrapreso. Ora con ottomila bottiglie ci stiamo muovendo per fiere e concorsi specifici. La distribuzione a breve sarà organizzata con alcuni distributori italiani che ci hanno chiesto di entrare a far parte della loro rete. In Italia è un mercato in crescita e il consumatore medio non conosce questo prodotto. Pensano sia associato ad un succo di mele dolciastro, che invece non è. Non è un vino, ovviamente, ma se volessimo equipararlo, per semplicità, non sarebbe un prodotto da dessert o da aperitivo in senso stretto. E’ un metodo classico da tutto pasto. Più invecchieremo sui lieviti più ci avvicineremo a sentori complessi e avvicinabili ai classici crosta di pane, frutta secca e burro fuso. Il problema serio è che nessuno ha affrontato in maniera ortodossa questo procedimento da tanto tempo. I produttori in Italia sono pochissimi. Noi facciamo dei blends specifici con mele locali e l’unica mela che non coltiviamo qui è la campanina, tipica del mantovano, che ha una quantità di tannini altissimi. Abbiamo provato anche l’utilizzo di botti di secondo passaggio per l’affinamento. Ma a noi interessa che siano le mele a definire il gusto. Per quanto riguarda i lieviti oltre a lieviti selezionati rispetto gli obiettivi che ci siamo dati, soprattutto rispetto al fatto di alterare meno possibile il gusto della mela, stiamo anche lavorando su quelli indigeni che le mele hanno naturalmente sulla buccia. Sfida tanto appassionante quanto complicata” .