
La storia si ripete sempre due volte, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Quante volte l’abbiamo sentita questa frase che purtroppo è sempre attuale. La cronaca recente ci mostra un rigurgito di anarchismo nel Paese alimentato da: una situazione economica e sociale difficile; un mondo dell’istruzione, della formazione e del lavoro chiuso e autoreferenziale, incapace di orientare e di investire sui giovani, di istruirli e prepararli, di inquadrarli e retribuirli adeguatamente; una politica chiusa, debole, priva di rappresentatività, scollegata dai problemi e dalla quotidianità delle persone.
Il moltiplicarsi in questi mesi di adesivi e scritte sulle nostre città che incitano al “No al 41bis” piuttosto che a “Cospito libero” o simili, mi è sembrato riportare la lancetta dell’orologio indietro di cinquant’anni. Agli albori di quel brodo sociale e culturale della contestazione, della ribellione, cui gruppi più o meno organizzati di attivisti e dissidenti hanno attinto alzando sempre più il livello del conflitto e dello scontro con le istituzioni, nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche. Una china scivolosa, irrefrenabile, che ha portato un’irriducibile minoranza a teorizzare l’eversione, la sovversione dello Stato e a praticare la lotta armata. Storia brutta, nota, lastricata di sangue e sofferenza.
In quel brodo sguazzavano anche e soprattutto i cosiddetti cattivi maestri, maitre à penser, che da pulpiti diversi hanno fornito per anni la motivazione ideologica e dottrinale allo scontro e alla violenza. Alcuni di loro ci sono ancora. E tra questi qualcuno ha ancora voglia di giustificare slogan triti e ritriti che proprio in queste settimane si sentono nelle manifestazioni o si leggono sui muri. I nuovi cattivi maestri sono anche coloro che banalizzano, che si girano dall’altra parte, che minimizzano le parole d’ordine, sempre le stesse, minacciose e sinistre (“pagherete caro, pagherete tutto!”), di giovani epigoni di un passato lontano col quale non si sono mai pienamente fatti i conti se non, e non sempre, nelle aule dei tribunali. Tante città hanno pagato conti salati a questa deriva. Mestre è una di queste come ha raccontato Adriano Favaro nel suo Cronache di Piombo. E proprio per questo assistere alla protesta messa in atto contro la presentazione del libro antiabortista di Adinolfi, in quei modi, con quei termini, con ragazzi e ragazze così giovani mi ha fatto pensare molto. E mi ha fatto male.
“Quando potremo dire tutta la verità, non la ricorderemo più” – Leo Longanesi.